
Sulcis. I minatori non vogliono arrendersi e la protesta continua
Cagliari – L’occupazione continua ad oltranza nella miniera di Carbosulcis. Oramai da più di 36 ore. E non intende fermarsi. Continuare, è questa la parola d’ordine, finché il governo non dia una risposta affermativa sullo sblocco dei 200 milioni di euro per rilanciare la produzione. Perché l’alternativa sarebbe la chiusura, e a questo i minatori non vogliono cedere. Asserragliati nelle viscere della terra a 370 metri di profondità e con 350 chili di esplosivo, i 120 minatori, tra cui quattro donne che sono scese giù questa mattina, gridano il loro appello al governo: «vogliamo la stessa dignità dell’Ilva di Taranto». E la tensione è ormai giunta alle stelle «Siamo pronti a tutto, anche a fare i matti» hanno fatto sapere alle autorità.
Non è la prima volta che la miniera viene occupata: accadde anche nel 1984, nel 1993 e nel 1995, quando i lavoratori rimasero barricati in galleria per 100 giorni. La questione della Carbonsulcis, unica miniera di carbone ancora attiva in Italia, infatti, va avanti da tantissimi anni. Come spiega il vice presidente della regione Sardegna Giorgio La Spisa «Si tratta di una vicenda che si inserisce nel polo industriale di quel territorio, caratterizzato da investimenti derivati da flussi finanziari esterni alla Sardegna, che hanno creato di fatto una monocultura industriale, prima mineraria e poi metallurgica. In questo momento si sta vivendo l’apice della crisi dell’industria mineraria e dell’industria metallurgica di base, che nel tempo non sono state supportate da un’adeguata politica industriale e soprattutto da una politica energetica da parte dello Stato italiano».
La Carbosulcis non è la sola in questo territorio a soffrire la crisi. La situazione è incandescente anche allo stabilimento Alcoa di Portovesme, un impianto siderurgico americano che lo scorso gennaio ha comunicato di voler chiudere la sede italiana in quanto non trova più conveniente comprare il carbone italiano e, in modo particolare proprio quello di Carbosulcis, in quanto di costo maggiore rispetto a quello cinese (80 contro 35) del quale ora si rifornisce. Si comprende bene come la situazione sia veramente drammatica in quanto la provincia di Carbonia- Iglesias già raggiunge punte di disoccupazione pari al 33%, ed è, quindi, facile immaginare quindi cosa accadrebbe se i due impianti chiudessero. Si parla di 1500 operai che si troverebbero senza lavoro. Un duro colpo per tutta la regione visto che nel primo semestre del 2012, 1770 imprese hanno chiesto lo stato di crisi e circa 20.000 lavoratori sono in cassa integrazione. Una economia fondata proprio sull’industria mineraria che sparirebbe.
Ora i minatori aspettano ansiosi la giornata di venerdi che decreterà una volta per tutte il loro futuro. Per quel giorno, infatti, è prevista presso il ministero dello Sviluppo Economico l’incontro tra il governo, la regione Sardegna e i sindacati. Il progetto di rilancio, in ausilio con l’Enel, prevede la produzione di metano, energia pulita, dal carbone attraverso lo stoccaggio di anidride carbonica nel sottosuolo. Questa soluzione garantirebbe il futuro dei lavoratori, energia a basso costo per le altre imprese della zona e almeno 2000 nuovi posti di lavoro. Progetto che verrebbe a costare allo Stato italiano 200 milioni d’euro l’anno per otto anni, una cifra non proprio indifferente, ed è anche questo uno dei punti caldi della questione. A contrapporsi a questo progetto è anche la presenza della centrale Enel sul territorio, la stessa centrale che dovrebbe collaborare con la miniera e che il governo sembrerebbe privilegiare a discapito proprio della miniera. E i minatori chiedono risposte concrete anche su questo fatto. Nel frattempo questa mattina presso la regione Sardegna si è tenuta una riunione straordinaria del consiglio regionale per discutere della situazione Alcoa e parallelamente di Carbosulcis.
Stefania Galli
Foto || grr.rai.it; adnkronos.com; minieredisardergna.it