
Stone Gossard – ‘Moonlander’: la recensione
Stone Gossard è uno dei musicisti cardine attorno al quale il movimento grunge si è sviluppato negli anni ’80, per arrivare poi alla definitiva consacrazione all’inizio del decennio successivo. Chitarrista nei Green River prima e nei Mother Love Bone poi, Gossard ha costituito, assieme a Jeff Ament, l’ossatura ritmica dei Pearl Jam: con loro è arrivato il meritato successo planetario, testimoniato dai milioni di dischi venuti in tutto il mondo e da lunghissimi tour sold out. Oltre alla sua band principale, Gossard ha da sempre portato avanti numerose collaborazioni e progetti musicali paralleli, tra cui forse il più importante quello con i Brad.
Nel 2001 Gossard pubblicò un discreto primo album solista, intitolato Bayleaf. A distanza di 12 anni, il chitarrista torna nei negozi con un nuovo progetto solista, intitolato Moonlander. Un album di pop rock sperimentale, dove Gossard si diverte a passeggiare in territori musicali diversi da quelli battuti solitamente con i Pearl Jam.
L’album si apre con I Need Something Different, che richiama alcune sonorità desertiche ed essenziali che ricordano alcuni passaggi dei Queens of the Stone Age. Un brano rock sperimentale e dinamico. La titletrack Moonlander è un rock denso e avvolgente, forte di un arrangiamento di qualità. Si prosegue con la leggera e spensierata Both Live, un episodio trascurabile dopo i due precedenti buoni brani.
Your Flames è una ballata pianistica profonda e intensa, ma forse troppo trascinata. Segue Battle Cry, una sorta di marcia in versione psichedelica, con un ottimo crescendo finale: un brano che ricorda certe atmosfere dei dischi di David Bowie. King of the Junkies è un breve brano che si sviluppa su una buona idea, ma che risulta troppo ripetitivo. Si prosegue con I Don’t Want to go to Bed, un brano monotono e trascinato, assolutamente trascurabile.
Remain è un acustico delicato e soffuso, prima di Bombs Away, forse il brano più accomunabile al lavoro dei Pearl Jam dell’ultimo decennio. Witch Doctor è un rock semiacustico spensierato, prima della conclusiva Beyond Measure, un altro episodio delicato dove il piano spadroneggia in virtù delle chitarre, messe in secondo piano se non per un accompagnamento bluesy di sottofondo.
Un album a corrente alternata questo nuovo Moonlander di Stone Gossard, che può vantare alcune buone idee, alle volte ben sviluppate e alle volte solo abbozzate, e alcuni episodi monotoni e meno felici. Le capacità di songwriting del chitarrista di Seattle non sono in discussione, ma questo album solista manca di capacità di sintesi e di corposità in termini di accompagnamento, spesso deficitario di chitarre. Un album che ha il pregio (o il difetto, a seconda dei punti di vista) di discostarsi radicalmente dal sound dei Pearl Jam, offrendo quindi un prodotto originale per i canoni abituali di Gossard, un musicista che ha optato (probabilmente, che piaccia o no, con saggezza) per la scelta di proporre qualcosa di nuovo. Per questo motivo alcuni fan accaniti dei Pearl Jam troveranno l’ascolto di questo album ostico ed enigmatico, mentre solo pochi potranno apprezzare appieno quello che di buono è contenuto in Moonlander, un album discreto ma non eccezionale di soft rock dai sentori psichedelici.
Alberto Staiz
Foto homepage: loudwire.com