
Stato-mafia: depone la giornalista del ‘Fatto Quotidiano’
È rientrato nel vivo il processo sulla trattativa Stato-mafia avvenuta nel biennio 1992-1993.
DEPONE LA GIORNALISTA - Ieri Sandra Amurri, giornalista del Fatto Quotidiano, deponendo al processo ha raccontato: «Era il 21 dicembre del 2011 e io avevo appuntamento con l’onorevole Aldo Di Biagio davanti al bar Giolitti per parlare della storia della compravendita dei senatori. C’era molto freddo e io ero imbacuccata con sciarpa e cappello. Sono entrata nel bar che era affollato. Mi sono seduta fuori per fumare»,«A quel punto ho visto Mannino. Io ero seduta con lo sguardo verso Piazza del Parlamento e Mannino mi dava le spalle. Lui non mi ha visto o non mi ha riconosciuto. Ha iniziato a parlare con un’altra persona. La mia attenzione è stata attratta da quella conversazione quando ho iniziato a sentire quello che Mannino diceva all’altro signore che non ho riconosciuto, solo in seguito ho saputo che si trattava di Giuseppe Gargani. Mannino era molto concitato: “Glielo devi dire a De Mita, lui è stato chiamato. Lui deve confermare la nostra versione, perché questa volta ci fottono“, diceva Mannino. E il suo interlocutore gli diceva: “Sì sì non ti preoccupare”. Lui diceva: “stavolta hanno capito tutto a Palermo, stavolta ci fottono”. Mannino ha detto poi: “Quel cretino di Ciancimino di cazzate ne ha dette tante ma su di noi ha detto la verità e il padre di noi sapeva tutto, no?”. Non sapendo io che fosse indagato per la trattativa, io non capivo. Cercavo di ascoltare con attenzione. “Te lo ripeto, devi dire a De Mita che deve dire le stesse cose nostre. Assolutamente”».
LA PRIMA PER DUE IMPUTATI - Inoltre, ieri per la prima volta si sono presentati in aula gli ex uomini delle forze dell’ordine indagati: il generale Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno. Il primo ha dichiarato: «Siamo due ex dipendenti dello Stato e non possiamo essere certo contumaci». Durante il mese di luglio Morio è stato assolto dall’accusa di favoreggiamento aggravato insieme all’ex-colonnello Mauro Obinu per il mancato arresto del boss mafioso Bernardo Provenzano nell’ottobre 1995 perché il fatto «non costituisce reato».
Giacomo Cangi
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