Ritrovata in Turchia l’Arca di Noè. I ricercatori quasi certi

La gigantesca struttura legnosa, suddivisa in vari compartimenti e stanze, risalirebbe a circa cinquemila anni fa, epoca in cui è datato il cataclisma narrato nella Bibbia

di Adriano Ferrarato

«Questa è la storia di Noè. Noè era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio. Noè generò tre figli: Sem, Cam e Iafet. Ma la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza. Dio guardò la terra ed ecco essa era corrotta, perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra». Così, nell’Antico Testamento, inizia una delle storie più famose del mondo, quella del diluvio universale.

L’ira era talmente grande che, deciso a porre un freno a tanta depravazione, Dio avvisò Noè: «E’ venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza: ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un’Arca di legno di cipresso: la dividerai in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. Ecco come devi farla: l’Arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Farai in essa un tetto e a un cubito più sopra la terminerai; da un lato metterai la porta; la farai a piani: inferiore, medio e superiore».

Come è noto, Noè scampò al terribile diluvio insieme alla sua famiglia grazie alla prodigiosa imbarcazione, al cui interno erano contenute anche tutte le specie animali suddivise in coppie allo scopo di preservarne l’esistenza e la riproduzione futura. Il racconto della Bibbia termina con l’importante immagine della colomba, che portando nel becco un ramoscello di ulivo, annuncia a tutti il ritorno alla terra e la fine della devastazione. E una nuova alleanza dell’uomo con Dio. Da allora, dell’arca si sono perse le tracce.

Fino a pochi giorni fa.

La ricerca del mastodontico battello ha interessato infatti nei secoli, rappresentando per molti una vera e propria ossessione, uomini di epoche e culture diverse come medici, scrittori, cristiani, alcuni musulmani ed ebrei, addirittura imperatori. Analisi ed indagini, che ad eccezione di qualche sporadica trave in legno, non hanno mai dato i risultati sperati. Nel quarto secolo dopo la nascita di Cristo un commentatore armeno, chiamto Faust di Bisanzio, parlò per primo del monte Ararat (in Turchia) come luogo dove l’Arca si incagliò al termine dei quaranta giorni del cataclisma, quando le acque si ritirarono. Stando addirittura alle testimonianze dell’uomo, all’epoca essa era ancora perfettamente visibile sulla cima della montagna.

Il monte Ararat

Il monte Ararat

Da allora, e grazie ai sempre più incredibili progressi scientifici, novelli Indiana Jones hanno intrapreso viaggi impossibili per trovarla. E solo per parlare dell’ultimo secolo, grazie alle fotografie aeree sono stati individuati alcuni punti lungo la sommità del rilievo, all’interno dei quali la compresenza di anomale formazioni rocciose inducono a ritenere possibile l’esistenza (sotto terra e ghiaccio in alta quota) dei resti della prodigiosa nave. Si è trattato però di ipotesi e congetture non ulteriormente verificate, fino alla fine dello scorso mese di aprile, quando un gruppo di 15 ricercatori composti da cinesi e turchi hanno affermato, stando alle parole di uno di loro, di aver trovato qualcosa che «non possiamo dire al 100 per cento che si tratta dell’Arca di Noè, ma pensiamo di poterlo dire al 99,9 per cento».

Una notizia sbalorditiva a cui corrisponde il ritrovamento, documentato e filmato, dei resti di una gigantesca struttura legnosa la cui analisi al carbonio 14 ha rivelato l’appartenenza ad un periodo storico di circa cinquemila anni fa, epoca in cui in effetti è datato il diluvio universale narrato nella Bibbia. L’intera impalcatura risulterebbe suddivisa, così come era stata descritta nei sacri testi, in vari compartimenti e stanze, forse proprio allo scopo di poter permettere la presenza all’interno delle varie specie animali. Sicuri della validità della loro scoperta, il gruppo di archeologi ha invitato immediatamente le autorità turche a richiedere immediatamente all’Unesco l’inserimento della zona nella importante lista dei patrimoni mondiali dell’umanità, in modo da proteggere il sito e poter svolgere ulteriori studi ancora più approfonditi. 

E se tutto sarà confermato, sarà un ritrovamento di importanza storica fondamentale. Chissà se poi, spinti da un risultato così eclatante, un giorno non si riesca a trovare anche il Sacro Graal.

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