Riforma elettorale. Tra veleni e sospetti il Porcellum resiste

Angelino Alfano, Pierluigi Bersani e Pier Ferdinando Casini

Roma – Da tempo immemore s’invocava questa fantomatica “riforma elettorale”. Quando terminò il governo Berlusconi in quel freddo novembre, per lasciar spazio a Monti e alla sua squadra di tecnici, a maggior ragione, tra sinistra centro e destra, questo tema sembrava una delle priorità in agenda. Addirittura si poteva gridare al miracolo, quando il Pd e il “nuovo” Pdl, targato Angelino Alfano, sembravano aver trovato un punto d’incontro per intavolare una discussione a riguardo.

Sono passati quasi dieci mesi da quel giorno e il risultato è quello più ovvio: nessun accordo trovato tra le forze politiche in Parlamento.

Qualche giorno fa era stata annunciata una riunione, nel brevissimo periodo, del Comitato ristretto del Senato, incaricato di trovare un principio di ossatura per il testo della riforma. Un comitato formato da Gaetano Quagliarello (Pdl), Enzo Bianco e Luigi Zanda (Pd), Gianpiero D’Alia (Udc) e Roberto Calderoli (Lega Nord). Con una parola d’ordine: “Niente fretta”.

Il tempo, infatti, non sembra essere un problema, meglio se si temporeggia. Nell’illusione su un accordo raggiunto tra i partiti, quello che conta è non fare approvare la riforma in Senato prima del 10 agosto. Questo aumenterebbe le possibilità in maniera esponenziale di elezioni anticipate a novembre. E sono in molti, tra i politici, a voler scongiurare questa eventualità.

Non le vuole Silvio Berlusconi, che ha bisogno di tempo per consolidare l’alleanza con la Lega Nord, e non solo, in maniera tale di aumentare le sue chances di vittoria, nel caso mettesse in pratica le sue dichiarazioni di candidarsi nuovamente alle prossime elezioni. Non le vuole nemmeno il Pd, che per quanto dia l’impressione di voler accelerare i tempi, non desidera assumersi le responsabilità di un ritorno anticipato alle urne. Prendere le redini di un paese, quando la crisi economica potrebbe soltanto peggiorare, per il Pd è sinonimo di disfatta immediata. E poi c’è il timore, da parte di Pierluigi Bersani, di non aver pronta una coalizione per autunno, con il rischio di un Monti-bis che lo porterebbe nuovamente a recitare la parte di comparsa, rendendo la poltrona di Palazzo Chigi sempre più una chimera.

Lo stesso vale per Pier Ferdinando Casini. Le elezioni anticipate rappresenterebbero una follia, considerando anche il fatto che il leader dell’Udc è uno dei più accaniti sostenitori di Monti e del suo operato fino a questo momento.

Tutti d’accordo, quindi, sul non affrettare i tempi, un po’ meno su quale direzione intraprendere per la riforma. Con frequenza quasi settimanale, i vari esponenti di partito continuano a ripetere di aver trovato un accordo di massima. L’ultimo in termini cronologici: il sistema ispanico-tedesco.

Il Pd rinuncerebbe al premio di maggioranza per la coalizione vincente in favore di un premio di governabilità al primo partito. Mentre il Pdl abbandonerebbe la pretesa sulle preferenze in favore dei collegi. Nessuna maggioranza precostituita, come avviene con il Porcellum, con un governo, dunque, che si formi in Parlamento ad urne chiuse.

Il condizionale, in questo caso, è quasi d’obbligo, perché se questo è quello che dichiarano, lo stesso non vale nella realtà dei fatti.

Di accordo nemmeno una traccia. Si respira, al contrario, un clima di sospetti e veleni. Sembra che la situazione di stallo sia quella che preferiscono maggiormente i partiti. Il Popolo della Libertà, tramite le parole di Berlusconi, accusa il Pd di voler mantenere il Porcellum. Se dovesse rimanere questo sistema elettorale, Bersani otterrebbe una maggioranza record, grazie alla potenziale coalizione che ha tirato su in questi mesi.

Anche tra le fila dell’Udc c’è chi avanza il sospetto che il segretario del Pd abbia l’intenzione di mantenere le liste bloccate.

pdrimini.it

Dall’altra parte c’è il Pd, che ha maldigerito la volontà del Pdl di procedere con la presentazione di una propria proposta nel comitato ristretto della commissione Affari costituzionali: un sistema proporzionale con sbarramento al 5% e clausola salva-Lega, premio di governabilità tra il 10 e il 15% al primo partito, scelta degli eletti per il 30% con liste bloccate e per il 70% con le preferenze. E contando che in Senato il Pdl e la Lega Nord rappresentano la maggioranza (come già dimostratosi con l’approvazione del semipresidenzialismo e del senato federale), l’eventualità che questa proposta possa passare non è per nulla remota.

Il punto è che di accordo non si può parlare nemmeno in termini interni al Partito Democratico: c’è chi, come Massimo D’Alema, Enrico Letta e Giuseppe Fioroni, è ben disposto ad un compromesso sulle preferenze; e c’è chi, come Dario Franceschini, alza una vera e propria muraglia in difesa dei collegi uninominali.

Il tempo passa, i vari partiti si dilettano a scambiarsi accuse reciproche, mentre, su quale aspetto assumerà la riforma elettorale, impera l’incertezza.

Un dato di fatto? Il Porcellum, così com’è, non va bene. E questa era una consapevolezza che avevamo anche noi cittadini. La speranza era che il Parlamento intervenisse subito per rimuovere questa legge elettorale. Come dice Giovanni Soriano: «L’unica certezza per chi vive di speranza è un insoddisfacente presente». E su questo fronte, per ora, non possiamo dargli torto.

Giorgio Vischetti

foto|| dirittodicritica.com; pdrimini.it; blogspot.com

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