Recensione – La santa. Un meltin pot di generi contro l’ignoranza e l’ipocrisia

lasanta

Una scena del film ‘La santa’

Presentato fuori concorso al Festival Internazionale del Film di Roma, La santa, di Cosimo Alemà – famoso soprattutto per aver diretto più di duecento video musicali – impressiona per il registro stilistico “artigianale” e la convincente commistione di generi in un’unica pellicola. Noir, thriller, action, persino western.

Con i comunque evidenti errori presenti – si sfilaccia nella frenetica parte centrale e risulta fiacco nei dialoghi in alcuni momenti – il film colpisce per la qualità della regia e la precisione con cui tratta diversi temi.

È la storia di quattro balordi che giungono in un paesino del Salento per derubare la statua della Santa del paese, Santa Vittoria. Il loro intento, all’apparenza facile, sarà ferocemente osteggiato dalla crudele vendetta degli abitanti.

La parte iniziale resta la più convincente, una crescente tensione accompagna l’organizzazione del colpo e l’improvvisa passione tra uno dei quattro, Gianni – il bravissimo Gianluca Di Gennaro, attore di talento più di tanti altri famosi e sopravvalutati attori italiani – e una ragazza del posto, la quale è in qualche modo connessa al loro piano. Il meltin pot di generi che la pellicola propone spiazza pur mantenendo un ritmo e una tensione sempre alti.

Come vivono gli abitanti di un piccolo paese del sud Italia, dove finisce la genuinità e la semplicità della vita contadina e di paese, e prende il sopravvento l’ignoranza, la bigotteria, la violenza? Che senso ha la religione? Quali i valori a cui aggrapparsi per poter sopravvivere in questo mondo? Il regista pare avere le idee chiare nel rispondere a questi quesiti, comunicandole in maniera a volte originale, altre meno, dando però un netto e originale anche, punto di vista.

IMMAGINI

Cosimo Alemà

Pur non essendo ottusamente anticlericale e discriminatorio verso il sud, il film attacca fortemente le abitudini  di una comunità chiusa di un piccolo paese, in particolare il rapporto tra i paesani e il forestiero, e più in generale la chiusura mentale nei confronti dell’altro.

Un film che si allontana dal concetto di cinema, rimarcando invece proprio quello di film, inteso con la f maiuscola, come prodotto “artigianale” appunto, complicato da trovare nel panorama del cinema di casa nostra.

Costato appena 180mila euro e girato in tempi strettissimi, coraggioso, pieno di attori molto giovani diretti con precisione, senza mancare dei difetti di cui sopra, il film supera egregiamente la prova.

In un mondo, quello del cinema italiano, che lascia spaesati e dubbiosi, votarsi a “santa” Cosimo Alemà, in attesa della sua prossima e probabilmente decisiva prova, non ci pare un’eresia.

Gian Piero Bruno

@GianFou

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