
Recensione – ‘Gloria’, una rivelazione tutta cilena
È un film in bilico tra una tesi ed un’antitesi quello che Sebastian Lelio porta sugli schermi italiani dal prossimo 10 ottobre, prodotto da Pablo Larraín (regista del bellissimo NO – I giorni dell’arcobaleno), e distribuito in Italia da Lucky Red. Un film in bilico si è detto, perché già solo il suo titolo, Gloria, sembra scelto per sottolineare il contrasto tra gli sforzi di una cinquantottenne, che rincorre la propria felicità e soddisfazione, e le casualità della vita, che alle volte si dimostra beffarda, dura e cinica o, comunque, non sempre gloriosa.
Gloria è infatti una donna che, spogliata dei ruoli di moglie e madre, affronta e supera con grande dignità le difficoltà e le frustrazioni che il ruolo di battitore libero spesso comporta per chi, della sua generazione, ha visto fallire un matrimonio e allontanarsi inevitabilmente i figli ormai adulti. Ma nella sua forzata autonomia, la protagonista raccontata da Lelio non mette mai da parte il suo desiderio di felicità e soddisfazione, sfidando la solitudine e la noia, tentando con determinazione di riappropriarsi del timone della propria vita. La vena di ottimismo con la quale Gloria affronta la propria storia, insieme alle scelte stilistiche di luci, inquadrature e movimenti di macchina, presenta allo spettatore il ritratto di una donna inaspettatamente forte, sardonica ed ironica. Ciò che la caratterizza, è il suo coraggio tutt’altro che soprannaturale, che le consente di combattere le beffe quotidiane della vita.
In questo contesto, Paulina GarcÍa è un’attrice strepitosa, che con il suo gioco di sguardi, mimetizzati dietro lenti ampie, fa della protagonista un carattere vivo, del quale colpiscono i gesti a volte scattosi. È bellissimo, ad esempio, il modo in cui la GarcÍa sceglie di contorcere le mani, quasi a voler simulare un artiglio, lo stesso con il quale Gloria tenta di agganciarsi alla vita che desidera. Orso d’Argento quale miglior attrice alla sessantatreesima edizione del Festival di Berlino, a Paulina GarcÍa va senza dubbio il merito di essere riuscita a vincere la sfida di Sebastian Lelio, ovvero quella di «trasformare questo personaggio di secondo piano in una protagonista assoluta». L’impressione ulteriore e latente con la quale si può omaggiarla, è riconoscerle un pian recitativo che ricorda, in più punti, quello della celeberrima Meryl Streep (e non è cosa facile).
Bello e tenero anche l’amore adulto e il coraggio nella mostra dei corpi, sia di Paulina GarcÍa che di Sergio Hernández, che, nell’insieme dei suoi significati, sfrutta una potenzialità emotiva che arriva diretta allo spettatore. E sul canale dell’emotività forse Sebastian Lelio ha giocato più volte, stemperando le situazioni affilate e i passaggi bui con le pause giuste. Ovvero: la sua Gloria resta un personaggio che subisce, ma sempre con un’adeguata capacità non solo di rialzarsi, ma anche di dissacrare il dolore e la delusione, come a voler sottolineare che la vita è esattamente l’insieme di tutte le possibilità che si presentano, contro le quali bisogna solo imparare il giusto metodo di esorcizzazione e digestione.
D’altra parte, Sebastian Lelio accenna sottovoce anche al suo scontento per la società cilena che, in quanto Paese in rapido sviluppo, racchiude in sé rapporti sociali spesso ingiusti; in quest’ottica, si esprime il desiderio di trasformazione della collettività in sistemi più sani, rappresentato dalla necessità di cambiamento della sua Gloria. Del regista è anche evidente l’attaccamento autobiografico alla sua protagonista, simbolo della generazione di sua madre, un pianeta sconosciuto eppure tanto vicino, cui si era già interessato nei suoi precedenti lavori La Sagrada Familia, Navidad e El año del tigre, nei quali tornano le tematiche familiari, l’osservazione di personaggi posti davanti ad un bivio, la tensione tra persona e personaggio sociale.
Insomma, Gloria è un film denso nei significati ma allo stesso tempo leggero da guardare, perché si limita a suggerire ed osservare, permettendo allo spettatore di intuire i suoi drammi, le sue debolezze e la sua ironia… al punto che anche un gatto Sphynx, alla fine, può diventare gradevole!
(Foto: movieplayer.it; cine-vue.com)
Valentina Malgieri
@V_Malgieri