RECENSIONE Fiore. D’anarchia e realismo, di romanticismo e amore

La recensione di Fiore, ultimo film di Claudio Giovannesi

fioreTra attese, piccole violenze e un sospeso bisogno d’amore, si manifesta una tensione costante che avvolge lo spettatore durante la visione di Fiore, sorretta dai sentimenti e i desideri dei protagonisti del film, due adolescenti rinchiusi in un carcere minorile. L’anarchia prettamente tecnica nella realizzazione della pellicola – l’uso incalzante dei piani sequenza, la frequente inquadratura di quinta – unita a quella della sceneggiatura, diventa il pilastro su cui poggia e si sviluppa la storia di Daphne e Josh, 17enni per i quali non esiste cosa più importante se non il loro sentimento, due anime giovani e romantiche costrette a vivere un amore pieno di ostacoli.

REALISMO E ROMANTICISMO – Daphne, senza madre e con un padre non proprio modello – interpretato da Valerio Mastandrea – dopo l’ennesimo furto di un telefonino viene arrestata e chiusa nel carcere minorile Casal del Marmo a Roma. Qui conosce Josh, dentro per furto anche lui, con il quale sviluppa un rapporto dirompente che vivrà di sbarre, distanze e messaggi scritti in lettere consegnate di nascosto. Il carcere minorile diventa così per Claudio Giovannesi, regista al suo terzo lungometraggio, il pretesto per descrivere ed esasperare le ruvidità del mondo che circonda gli adolescenti, in uno spaccato di vita dove realismo ed estremo romanticismo si rincorrono in una lotta continua senza vincitori. Il tutto in un saliscendi di pathos – la claustrofobia del carcere, il respiro del mare, la gioia di un bacio, la tragedia del distacco – nel quale la purezza dei personaggi è raccontata con leggerezza e poesia, senza melassa, dove il sesso è relegato a mera appendice di un’intima profondità di contatto lieve e irresistibile.

fioreUN ESORDIO TRAVOLGENTE – Il film viene accompagnato da una colonna sonora splendida, toccante e mai invasiva, e dalla fotografia impeccabile di Daniele Ciprì, volutamente sporca e poco illuminata, dai colori freddi, ma perfettamente adeguata al racconto, oltre che dalla recitazione travolgente dell’esordiente Daphne Scoccia, scoperta per caso dal regista mentre lavorava come cameriera in una trattoria romana. Una presenza che da sola giustificherebbe l’esistenza della pellicola, una forza recitativa che trasuda dallo schermo grazie a un’intensità fatta di ostentata rudezza, naturale malinconia, fragilità e dolcezza.

POETICA CINEMATOGRAFICA – Presentato alla Quinzaine di Cannes, Fiore porta alla ribalta la grazia del 38enne regista Giovannesi, già autore dell’ottimo Alì ha gli occhi azzurri e di due puntate della serie tv Gomorra, che per realizzare il film ha lavorato per ben sei mesi con i detenuti di Casal del Marmo. E ne caratterizza ancor di più la sua scelta narrativa e la poetica cinematografica – in un’evidente simbiosi con lo sguardo della protagonista – legata empaticamente all’anarchia e all’estremo, al candore trattenuto e al desiderio di romanticismo degli adolescenti, ma non solo. Di chi preferisce la fuga piuttosto che scendere a patti con le miserie e le ipocrisie del mondo, di chi non accetta le regole della partita – “partita un accidente”, ci raccontava Salinger attraverso Holden, “è una partita se stai dalla parte dove ci sono i grossi calibri, tante grazie. Ma se stai dall’altra parte allora che accidenti di partita è? Niente, non si gioca” – di chi pretende di avere la possibilità di vivere libero e di poter amare e lasciarsi amare senza pericoli e barriere.

VOTO: ★★★ 1/2

Gian Piero Bruno

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