Recensione – ARTPOP, il ritorno di Lady Gaga

La cover dell'album

La cover dell’album

A partire dalla seconda metà del secolo scorso, un gruppo di artisti rivoluzionari come Robert Rauschenberg, Andy Warhol e Roy Lichtenstein diedero vita a una nuova corrente artistica definita “Pop Art”, che rifiutò tutta la tradizione artistica precedente concependo l’arte come arte di massa, mercificata, in linea con la società dei consumi nella quale era nata. La Pop Art mirava a essere il più possibile anonima, prodotta in serie proprio come un barattolo di zuppa, per essere così compresa e accettata dal maggior numero di persone, individui senza il minimo giudizio critico perché bombardati quotidianamente dai mass media.

Intitolare un album ARTPOP, come ha fatto Lady Gaga, è certo un atto coraggioso, un’affermazione più che consapevole della propria identità rivoluzionaria ed emblematica, nonché dell’ambizione artistica del proprio progetto. Nonostante il titolo, ARTPOP ha tutt’altra intenzione che essere anonimo e seriale come la Pop Art alla quale si ispira: l’album, il quarto in studio della cantante, è il lavoro meno anonimo e più personale di Lady Gaga, un esperimento coerente al suo desiderio di fare musica con uno scopo ben preciso, con uno specifico e dichiarato intento artistico, lontano dalle logiche discografiche incentrate sulle vendite. “Non faccio canzoni per le classifiche”, aveva risposto la cantante a chi le diceva che il suo primo singolo di lancio, Applause, avesse venduto molto di meno rispetto a Roar, il singolo di lancio di PRISM di Katy Perry (pubblicato lo scorso 18 ottobre).

L'artista serba Marina Abramovic con Lady Gaga

L’artista serba Marina Abramovic con Lady Gaga

Nell’ultimo anno la cantante italo-americana è tornata gradualmente sulla cresta dell’onda: dalle sue performance artistiche insieme all’artista serba Marina Abramovic, ai suoi stravaganti costumi, alle sue esibizioni provocatorie (durante una delle quali ha mostrato il pube agli attoniti fan del G-A-Y, il club omosessuale più famoso di Londra), Lady Gaga è tornata a far parlare di sé. E a giudicare dai contenuti di ARTPOP, siamo solo all’inizio. Siete avvertiti: se vi aspettate di trovare hit scala-classifiche come Bad Romance, Poker Face, Telephone o Born This Way, siete sulla strada sbagliata. Gaga è ormai sulla strada dell’indipendenza produttiva (Venus, seconda traccia dell’album, è il suo primo pezzo autoprodotto) e molti fan saranno sicuramente delusi dai contenuti dell’album, meno commerciale, a tratti poco danzereccio, paradossalmente meno pop, nonostante il titolo.

Lo dimostra il fatto che ARTPOP non sia un album apprezzabile ad un primo ascolto, data la grande varietà di suoni contenuti nei brani, i testi a tratti metaforici e provocatori, l’alto livello di sperimentazione. Una dichiarazione di maturità e indipendenza artistica ribadita già in Applause, il primo singolo di lancio, nel quale la Germanotta affermava: «pop culture was an art, now art in pop culture in me». Guarda caso, sulla copertina figura la statua della cantante realizzata dall’artista Jeff Koons, noto per le sue opere spesso di grandi dimensioni ispirate allo stile kitsch.

Lady Gaga in un'immagine promozionale di 'ARTPOP'

Lady Gaga in un’immagine promozionale di ‘ARTPOP’

Che ARTPOP sia ambizioso lo si capisce già dalla prima traccia, Aura, brano scelto come colonna sonora del film di Robert Rodriguez Machete Kills, nel quale Gaga ha un piccolo ruolo. Il brano è una dichiarazione di forza, un canto di una donna nascosta in un burqa che nasconde una tremenda forza ed energia sessuale che sale lentamente fino a esplodere in un ritornello dai ritmi quasi techno dance. Segue poi Venus, terzo singolo promozionale dell’album, un viaggio nello spazio a bordo di un razzo (il «rocket number 9»), guidato da Gaga che, in un (dis)armonia di suoni, porta i suoi “monsters” sul pianeta Venere (la figura botticelliana della dea da cui il pianeta prende il nome, con un “bikini di conchiglia”, è stata piu volte usata dalla cantante nelle sue performance). È poi il turno della perturbante G.U.Y., il cui titolo è un particolare acronimo che sta per “Girl Under You”: «I wanna be that guy – G.U.Y.», voglio essere uomo e donna, canta Gaga, forse a ricordare la sua più volte dichiarata bisessualità. Il ritmo si fa sempre meno danzereccio con la traccia successiva, Sexxx Dreams, (una sorta di Erotica sperimentale, in cui Gaga sottolinea ancora il suo implacabile desiderio sessuale) e Jewels n’ Drugs (collaborazione con i rapper  T.I., Too $hort and Twista), una canzone in linea con la produzione americana underground sulla scia di Lil’ Wayne e Kanye West. Il ritmo torna a salire con MANiCURE, un pezzo energico con cui Gaga diventa una giovincella superficiale che ha bisogno di una manicure, ma il titolo suggerisce che la “manicure” in questione non è solo un semplice trattamento estetico. Arriva poi la bellissima Do What U Want, collaborazione con il rapper R. Kelly, scelta come secondo singolo estratto dall’album: questo è forse il brano che più ricorda la vecchia Gaga, quella di The Fame.

La seconda parte di ARTPOP si apre con l’omonima traccia che dà il titolo all’album, ARTPOP, appunto, (che ricorda, forse involontariamente, il sound dello storico album di Madonna, Ray of Light) un’ipnotica melodia elettronica dai toni lounge. Finalmente, il ritmo energico dell’album torna alla carica con Swine, il brano più godereccio, techno, dance di ARTPOP (che ricorda non poco l’eccentrica Scheiße di Born This Way). È qui che Gaga esprime tutta la sua rabbia verso un amante che l’ha ferita, con un urlo contro la bestialità degli uomini che culmina in una danza dal ritmo sfrenato e disinibito. Il ritmo rimane costante anche con la traccia successiva, Donatella, brano dedicato alla stilista Donatella Versace, grande amica della cantante, che riprende i toni techno-dance del brano precedente. Fashion! è forse la traccia più anonima dell’album, anche se fortemente ricercata: piano, electro e funky groove si uniscono in un brano che ricorda certe tonalità degli anni ’90 alla Daft Punk, così come accade in Mary Jane Holland, una vera e propria ode alla marijuana, in cui la cantante, sprezzante di tutto e tutti, si accende letteralmente uno spinello. La sostanza stupefacente placa l’energia di Gaga: ecco arrivare, allora, Dope, una struggente ballad al pianoforte, il suo cavallo di battaglia (si vedano Speechless e Yoü and I), nel quale la Germanotta racconta la sua dipendenza da un fantomatico amante (“ho bisogno di te più della droga”). Dopo la pausa, si torna a ballare con Gypsy, un brano intimo, sentito, che riprende i toni dance ed elettronici dei brani precedenti (un po’ come faceva The Edge of Glory in Born This Way) con un tocco melodico gitano, appunto, con tanto di battimani e chitarre. Lo spettacolo è in chiusura, ed è il momento degli applausi: Applause, appunto, il primo singolo estratto dall’album, chiude ARTPOP, in modo unitario e coerente con tutto il progetto.

Lady Gaga canta 'Applause' all'iTunes Festival 2013

Lady Gaga canta ‘Applause’ all’iTunes Festival 2013

Gaga ha rischiato molto abbandonando le classiche melodie goderecce e piu “popular”, ma la scelta si è rivelata, in fondo, azzeccata. Certo, i testi sono più “popular” del solito, non particolarmente ricercati come le melodie dei brani (apprezzabili molto di più con un ascolto in cuffia) ma, tutto sommato, ARTPOP è un lavoro sincero, sentito, coerente, una dichiarazione e una rivendicazione d’identità artistica in un panorama vasto, affollato e sempre più impersonale, fatto di fantocci in mano a grandi produttori, come quello del pop internazionale. Insomma, Lady Gaga riesce sempre a stupire, e non ce ne vogliano i fan della regina del pop se affermiamo che ARTPOP supera di gran lunga MDNA, che fu un tentativo meno personale e decisamente più vocato alle logiche commerciali.

L’album sarà disponibile nei negozi di dischi e in digital download su iTunes a partire dall’11 novembre, in versione standard e in versione deluxe: quest’ultima, oltre le 15 tracce della versione standard, contiene tre remix della hit Applause, uno dei quali realizzato dai fantastici Empire of the Sun.

L’unico rischio che si corre, ascoltando ARTPOP, è di stufarsi dopo una fruizione ripetuta. Perché il pop, pur ricercato che sia, è un po’ come la t-shirt di cui ci innamoriamo in un negozio: inizialmente la indossiamo tutti i giorni, la consumiamo, poi, un giorno, restiamo incantanti da una maglietta nuova, riponendo l’altra nell’armadio per un tempo indefinito, in attesa di tirarla fuori di nuovo in un breve momento di nostalgia. Ecco, in sintesi, l’essenza del pop contemporaneo, con o senza il prefisso “art”: un prodotto confezionato alla perfezione per essere acquistato, consumato e, infine, dimenticato.

(Foto: rnbjunk.com; fanpop.com; mtv.com)

Tracklist (Standard Edition):

  1.  Aura (3:56”)
  2. Venus (3:54”)
  3. G.U.Y. (3:53”)
  4. Sexxx Dreams (3:35”)
  5. Jewels n’ Drugs (feat. T.I., Too $hort & Twista) (3:48”)
  6. MANiCURE (3:20”)
  7. Do What U Want (feat. R. Kelly) (3:47”)
  8. ARTPOP (4:08”)
  9. Swine (4:29”)
  10. Donatella (4:26”)
  11. Fashion! (4:00”)
  12. Mary Jane Holland (4:38”)
  13. Dope (3:42”)
  14. Gypsy (4:09”)
  15. Applause (3:34”)

David Di Benedetti

@davidibenedetti

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