Questa settimana nei negozi di dischi: nuovo John Zorn e antologia Stills

John Zorn Mysteries (photobucket.com)

La copertina del nuovo album di John Zorn "Mysteries" (photobucket.com)

Prosegue imperterrita e senza intoppi (anzi, con fin troppe evoluzioni non giudicabili in altro modo se non positive, per non dire al limite della perfezione) la carriera dell’invulnerabile John Zorn, inossidabile maestro innovatore in ambito jazz-rock-noise-hard-heavy e chi più ne ha più ne metta, se preferisce. The Mysteries è, infatti, l’ennesimo incalcolabile tassello della sterminata discografia del genio newyorkese, questa volta rientrato in studio (suo reale luogo di nascita, crescita e provvigione) tenendo per mano forse il suo trio migliore, ovvero quello composto da Bill Frisell (molto bello il suo disco solista dedicato a John Lennon, All we are saying), Carol Emanuel e Kenny Wollesen, già estremamente ammirevole nel precedente The gnostic preludes e qui in veste di piena riconferma alla luce di un nuovo prodotto dal taglio mistico ma non per questo meno degno di considerazione in sede di proposta strutturalmente qualitativa (anzi). Col passo felpato di un minimalismo modale non privo, comunque, di interessanti sperimentazioni ritmiche, Zorn mette in piedi, ancora una volta, scenari perfetti in sede di trampolino di lancio per improvvisazioni strumentali vicendevoli. Non serve spendere più di tante parole per un genio come John Zorn: i suoi dischi, relativi a davvero tutti i progetti (come dimenticare Naked City e Masada?), vanno semplicemente goduti. Né più né meno.

Spostandoci, invece, sia di tempo che di luogo, approdando, precisamente in Inghilterra nell’anno 1979, non possiamo lasciar passare inosservato il ripresentarsi, in veste di consueta “deluxe edition”, di uno dei dischi più importanti della storia del rock nel suo versante più “underground” nel senso di gemma veramente sotterranea nel marasma di grandi divi da mercato e macchine macinasoldi. Stiamo parlando della signora Marianne Faithfull e del suo capolavoro Broken English, in questi giorni di nuovo sugli scaffali dei negozi di dischi in doppia versione rimasterizzata (originale + remix). L’album, all’epoca, arrivava in seguito ad un paio di decadi passate al fianco (nientemeno che) del signor Mick Jagger in veste di amante e coautrice di brani memorabili in casa Rolling Stones quali Sister morphine o As tears go by, salvo poi ritrovarsi sedotta e abbandonata in una spirale di dipendenza da sostanze stupefacenti. Proprio il 1979, dunque, rappresenta, per la diretta interessata, una sorta di decisivo punto di svolta reso indelebile e salvifico da un connubio di accenni cantautorali folk-blues, sperimentazioni elettroniche in scia Kraftwerk e parti vocali sul perenne e sottile filo che divide la pace dei sensi dalla trans mistica che fa di soli otto brani (tra cui la memorabile cover della “lennoniana” Working class hero) qualcosa di assolutamente rispolverabile per dovere.

Stephen Stills Carry On (americansongwriter.com)

La copertina della quadrupla antologia definitiva di Stephen Stills "Carry On" (americansongwriter.com)

Tornando ai giorni nostri e spostandoci sulle sponde Usa, precisamente ad Oklahoma City, incontriamo il nuovo atteso album dei Flaming Lips, ovvero The terror, tredicesimo tassello di una discografia densa di lavori eccellenti (The soft bulletin, Yoshimi battles the pink robots, Embryonic, tanto per citarne qualcuno). Questo tassello in particolare sembra detenere elementi molto più personali rispetto ad alcune delle uscite precedenti in quanto derivante, a livello tematico e forse anche stilistico, da un non facile periodo che ha fatto del frontman Wayne Coyne e del poliedrico polistrumentista Steven Drozd due emblemi di sopravvivenza a delusioni morali e affettive (una separazione dopo longeva convivenza per il primo, una serie di dipendenze per il secondo). Proseguendo, dunque, sulla scia post-psichedelica del precedente miglior lavoro in studio Embryonic (2009), The terror avanza importanti pretese di apprendimento in sede, appunto, di esperienze che innalzano dolore e più maturo esistenzialismo a paladini della pur necessaria, per quanto forzata, evoluzione umana personale, qui tradotta nella scelta lisergica di atmosfere e ambienti sonori ben consoni al conferimento psicosomatico delle tematiche affrontate.

Infine, riportando anima e corpo in una sorta di normalità sia storica che compositiva, il signor Stephen Stills bussa di nuovo alla porta del nostro udito con tutta la forza e la saggezza dei suoi buoni sessantotto anni per regalarci Carry on, nientemeno che quadruplo cofanettone antologico con il compito di assemblare, in maniera sostanzialmente definitiva, un mastodontico agglomerato di composizioni ricoprenti quasi tutti i cinquanta lunghi e fruttuosi anni di carriera, a partire dalla militanza nei mitici Buffalo Springfield (al fianco anche di un certo Neil Young) passando per il leggendario progetto CSNY (Crosby, Stills, Nash & Young). L’enorme antologia, dunque, si compone, come accennato, di quattro compact disc per la bellezza di ben settantadue brani (8 dischi nella splendida versione in vinile), tra cui venticinque inediti, per oltre cinque sode ore di musica di puro godimento storico-musicale. A fare da corredo al già più che succulento prodotto audiofonico è un libretto di oltre un centinaio di fotografie tra cui anche diverse immagini di una certa rarità collezionistica.

Buon ascolto.

(Foto: americansongwriter.com / photobucket.com)

Stefano Gallone

@SteGallone

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