Questa settimana nei negozi di dischi: tornano i Depeche Mode

Depeche mode (slicingupeyeballs.com)

Copertina di "Delta machine", il nuovo album dei Depeche Mode (slicingupeyeballs.com)

Dopo aver assistito anche in diretta streaming, lo scorso 23 ottobre 2012, tramite il sito internet ufficiale dei diretti interessati, alla conferenza stampa ufficiale che vedeva come protagonisti i signori Dave Gahan, Martin L. Gore e Andrew Fletcher, in due parole i Depeche Mode, siamo finalmente giunti alla data che loro stessi avevano preannunciato riguardo l’uscita del nuovo attesissimo album Delta machine. Preceduto, come di consueto, da un bel singolo radiofonico, Heaven, con contorno di affascinante videoclip, il tredicesimo album in studio della ormai storica band di Basildon arriva sugli scaffali dei negozi di dischi in abituale formato duplice (una edizione standard e una, invece, contenente un cd aggiuntivo dotato di quattro tracce inedite) e subito si presta all’orecchio dei fan come qualcosa di raffinatamente continuo rispetto alle precedenti e più sofisticate (nonché più che mature) esperienze discografiche. Del resto, lo stesso “lead singer” Dave Gahan lo aveva preannunciato: «Abbiamo completamente spostato la nostra idea di come creare un disco. Quando ci scontriamo contro il muro della consapevolezza che il suono è troppo normale, lo scompigliamo per dargli quel vero sound Depeche Mode». Una nuova nonché continuativa esperienza compositiva, dunque, che compensa quattro lunghi anni di attesa con un prodotto, nella sostanza, di migliore impatto rispetto al predecessore (l’altalenante Sounds of the universe del 2009) anche se sempre e comunque costruito sulla ormai onnipresente concezione di ballata o rivisitazione tardo-blues in chiave pop-elettronica. Escursioni moog, beat delicati ma pur sempre compulsivi al punto giusto nonché non nuovi seppur effettivamente sorprendenti fraseggi orchestrali fanno dell’intero album qualcosa di genuinamente trascendentale anche se non perfetto da un punto di vista di “songwriting”. Necessario come il pane per i fan di vecchia data, consigliabile in quadricromia (al fianco, cioè, di Sounds of the universe, Playing the angel e Exiter) per chi volesse approcciarsi solo oggi alla nuova fase di maturazione di una delle poche band davvero mai ripetitive nel corso di più di trent’anni di carriera.

Cambiando genere e struttura, in seguito, ci imbattiamo in un’altra pietra miliare anche se di portata nettamente maggiore sia per storia personale che, naturalmente, per stile compositivo ed esecutivo. Il maestro Eric Clapton, infatti, ha appena donato ai comuni mortali il suo nuovo Old sock, in approdo a tre anni di distanza dal precedente Clapton (che vedeva, tra l’altro, tra i vari musicisti anche un certo JJ Cale e Dereck Trucks, attuale lead guitarist della Allman Brothers Band) nonché ventunesima pubblicazione in veste solista di una delle maggiori leggende viventi della sei corde in chiave blues (al pari o meglio di lui, tra pochissimi altri, forse solo sua eminenza Ry Cooder). Album molto eterogeneo, Old sock (come preannuncia stesso il titolo sornione) concede al leggendario “Slowhand” di proporre due nuove composizioni inedite a contorno, però, di un’altra decina di rivisitazioni per brani da lui stesso molto amati in gioventù. E allora, spazio a vere e proprie perle come Still got the blues di Gary Moore, Your one and only man di Otis Redding o Further on down the road di Taj Mahal, il tutto qualitativamente incentivato, oltre che dalla rinnovata presenza di JJ Cale, anche da importantissimi “featuring” concessi da personalità eminenti del calibro di Paul McCartney (non c’è bisogno di presentazioni) e Steve Winwood (ex Spencer Davis Group, Traffic e Blind Faith proprio al fianco dello stesso Clapton).

Eric Clapton (ultimateclassicrock.com)

Copertina di "Old sock", nuovo album di Eric Clapton (ultimateclassicrock.com)

E a proposito di blues, c’è del buono, come sempre, anche in territorio italiano. Il signor Adriano Viterbini, infatti, una delle due menti sfascianti degli eccellenti nostrani Bud Spencer Blues Explosion, ha da poco prodotto e distribuito Goldfoil, sua prima esperienza solista molto particolare in quanto interamente strumentale e magnificamente costruita proprio sulle orme spirituali di veri e propri déi del genere a cui da sempre fa riferimento. Non è difficile distinguere, dunque, l’anima blues solitaria di eccellenze come, di nuovo, Ry Cooder, Blind Willie Johnson, Bill fahey o Woody Guthrie. Da segnalare la gradita presenza in studio di Alessandro Cortini, ex tastierista nientemeno che dei Nine Inch Nails di mister Trent Reznor.

Infine, facendo capolino in Germania anche se solo relativamente alle origini principali dell’artefice di tale (ormai) importante progetto (quelle culturali e stilistiche si riscontrano anche e soprattutto altrove), il buon Tobias Sammett (già ben nota e possente voce degli Edguy) continua ad estendere la sua “metal opera” in un vero e proprio progetto a lungo termine quale quello di Avantasia. The mystery of time, infatti, è il sesto capitolo di una ricca anche se, ogni tanto, barcollante, carriera alternativa che il buon singer tedesco porta avanti con inossidabile onore dal 2000 anche se con alti e bassi (splendidi gli esordi di The metal opera I e II, meno coinvolgenti le recenti esperienze del dittico The wicked Symphony / Angel of Babylon). Questa nuova uscita, in particolare, sembra voler proporre agli appassionati del genere (power – prog – heavy metal?) la consueta collezione di gemme compositive riuscendo, però, nel suo tentativo in maniera nettamente migliore rispetto alle più recenti esperienze. Per molti, The mystery of time è già uno dei migliori metal album degli ultimi anni grazie al suo andirivieni di avvolgenti partiture orchestrali, sezioni ritmiche, come sempre, al cardiopalma e ottime ballad melodiche tipiche del genere (nelle sue pur diverse commistioni).

Buon ascolto.

(Foto: slicingupeyeballs.com / ultimateclassicrock.com)

Stefano Gallone

@SteGallone

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