
Questa settimana al cinema: i Coen sceneggiatori per Gambit
Correva l’anno 1966 quando i celeberrimi Michael Caine e Shirley MacLaine davano vita sullo schermo, sotto la direzione di Ronald Neame, a Gambit, esilarante commedia incentrata sull’architettura del potenziale furto di una preziosissima scultura cinese. Quarantasette anni dopo, è Michael Hoffman (meglio in forma con film più complessi e importanti come, su tutti, The last station, film che vede protagonista il celebre scrittore russo Lev Tolstoj) a riprenderne le redini per riproporne la sua personale versione visiva servendosi, sì, di un cast d’eccezione (Cameron Diaz, Colin Firth, Stanley Tucci) nonché di una sceneggiatura a firma imponente (gli autori sono nientemeno che i fratelli Coen) ma, non per forza per tali motivi, riuscendo forse poco a risultare innovativo o quantomeno più interessante della versione originale (come purtroppo accade molto spesso quando si ha la pretesa o il vizio di continuare a infilare il dito nella piaga del concetto stesso di remake). Ad ogni modo, la narrazione focalizza sul curatore d’aste Harry Deane il quale, trattato in maniera più che schiavista dal proprio capo, medita e studia la vendetta perfetta nei suoi confronti: mettere in piedi una truffa basata sull’incompetenza dei potenti per evidenziale agli occhi comuni il talento dei più deboli e sfortunati.
Sul versante (come dire) neo-gangster movie, invece, troviamo Gangster Squad (regia di Ruben Fleischer, con Sean Penn, Ryan Gosling, Emma Stone, Josh Brolin), pellicola a tratti semi noir collocata (sia narrativamente che storico-cinematograficamente) nella Los Angeles degli anni ’40 dove l’imbattibile pugile ebreo Mickey Cohen si fa spazio nel mondo della criminalità organizzata a colpi di pistola fumante. Deciso ad estendere il proprio incontrastabile dominio anche in quel di Chicago, agevolato anche da una notevole abilità di corruzione nei confronti di giudici, agenti di polizia e testimoni passivi, viene, però, boicottato dal solo John O’Mara, un reduce dalla seconda guerra mondiale privo della benché minima intenzione di concedere campo a Cohen e intenzionato a sabotare le sue potenti azioni. Tra complotti, armi, fuoco, morti ammazzati e “dark ladies”, insomma, il tentativo sarà quello di ristabilire un minimo di ordine nella grande e speranzosa Los Angeles.
Sulla sponda (anche qui, come dire) fantasy-drammatica ci si imbatte in Beautiful creatures (regia di Richard LaGravanese, con il “coppoliano” Alden Ehrenreich, Jeremy Irons, Viola Davis, Alice Englert), film sostanzialmente votato all’apprezzamento di tardo adolescenti puramente occidentali per via di una storia incentrata sulle vicende di una giovane maga praticamente richiusa in uno dei paesi più bigotti e conservatori di tutti gli Stati Uniti. Sentendosi addosso tutto il peso di una situazione per lei insostenibile, la giovane crea, col suo stesso vivere in quei luoghi, perennemente scompiglio all’interno della comunità (con i suoi modi sia di essere che di agire ancestralmente). C’è, però, per sua fortuna, un ragazzo disposto a qualsiasi sacrificio pur di restarle accanto: si tratta di un giovane bello e tenebroso che, subito un pesantissimo lutto, si chiude sempre di più tra le viscere dei suoi libri. Saranno, allora, proprio i libri ad unire i due giovani. O forse a dividerli.
Qualitativamente di portata potenzialmente superiore, infine, solo altre due pellicole tendenzialmente interessanti. Da una parte, The sessions (regia di Ben Lewin, con Helen Hunt, John Hawkes, William H. Macy) focalizza sulla California degli anni ’80 dove il giornalista Mark O’Brien è paralizzato nella sua costrizione a vivere in un polmone d’acciaio ma il suo corpo non smette di trasmettergli anche impulsi sessuali sempre più espliciti. Mark, allora, decide di ricorrere ad una “specialista” per delle vere e proprie sessioni durante le quali potrà sperimentare le possibilità che ancora gli offre il proprio corpo. Entrerà in gioco tutta un’altra questione, però, quando ad entrare in partita saranno anche certi sentimenti.
Dall’altra parte, il filippino Brilliante Mendoza giunge anche nelle sale italiane con il suo Captive (con Isabelle Huppert, Kathy Mulville, Marc Zanetta), film costruito sul realmente avvenuto rapimento di un gruppo di turisti e della loro assistente sociale francese ad opera di separatisti islamici operanti, appunto, nelle Filippine. L’intenzione dei rapitori è quella di ricattare le nazioni di appartenenza dei turisti e, insieme, il governo filippino allo scopo di ottenere denaro e controparti politiche. Quando, però, le trattative diventano stagnanti, l’intero gruppo di turisti sarà tenuto nel mezzo della giungla filippina per quasi un anno prima di ottenere la tanto sperata liberazione da parte dell’esercito.
Buona visione.
(Foto: screenweek.it / televideo.rai.it)
Stefano Gallone
@SteGallone