Questa settimana al cinema

Come in molti stavano già aspettando, poiché consapevoli, il ritorno sul grande schermo di Woody Allen (a brevissima distanza rispetto al precedente e relativamente apprezzato Midnight in Paris, testimonianza di un approccio ormai definitivamente logorroico al mezzo cinematografico da parte del diretto interessato), arriva proprio questa settimana (anticipato da naturali presentazioni nazionali sia per quanto riguarda conferenze stampa che per ciò che concerne rispettive apparizioni televisive, su tutte quelle negli studi del Tg5 e sulla poltrona di Che tempo che fa al cospetto di Fabio Fazio) il nuovissimo e tanto atteso elogio alla capitale italiana To Rome with love. L’elemento che più spicca agli occhi degli appassionati (come spessissimo capita nelle pellicole del celebre regista statunitense) è un cast davvero d’eccezione. A partire, dunque, da un Roberto Benigni al rientro nel quadro da grande tela, si passa attraverso nomi di rilievo internazionale come Alec Baldwin, Penelope Cruz, Judy Davis, Antonio Albanese, Ellen Page, Ornella Muti, Carol Alt, lo stesso Allen (di nuovo davanti la macchina da presa dopo a sei anni da Scoop), Riccardo Scamarcio e chi più ne ha più ne metta. L’unica domanda di rito, però, è sempre la stessa: tutto questo pompare di nomi e star da notevole budget, servirà mica a coprire eventuali mancanze narrative? È lecito chiederselo. Come, però, è anche lecito e quasi obbligatorio testarne i risultati sulla propria pelle accomodandosi su di una poltroncina in sala.

Allen, dunque, potenzialmente ispirato dalle novelle di Boccaccio (il titolo iniziale, infatti, non era forse Bop Decameron, o qualcosa del genere?), torna nelle vesti da commedia per raccontare quattro storie differenti (e chissà quanto interessanti; speriamo bene) nelle quali si passano in rassegna comuni mortali scaraventati senza alcun motivo al centro dell’attenzione mediatica (Benigni), uomini invaghiti di seducenti amanti ma inconsapevoli di una consorte altrettanto adultera (Albanese / Cruz), architetti innamorati ma spalleggiati da improbabili latin lover di mezza età (Baldwin / Page) o produttori discografici in visita a Roma per entrare alle prese con un cantante d’opera (Allen). Staremo a vedere.

Sempre di origine statunitense con sempre qualche piccolo riferimento al territorio italiano (visto l’amore per il prossimo tricolore del maestro in questione) è, ovviamente, Martin Scorsese, fresco di cambio di rotta narrativa e di esperienza tridimensionale (Hugo Cabret) ma di ritorno sugli schermi con una tipologia di prodotto a lui comunque sempre ben più che consona, ovvero il documentario musicale. Felice vittima sacrificale delle possenti visioni artistiche del maestro statunitense, questa volta, è il compianto “beatle” George Harrison per George Harrison: living in the material world, pellicola biografica che si avvale delle importanti testimonianze di personaggi di gran rilievo come il regista Terry Gilliam, lo stesso Harrison quando era ancora in vita e, tra gli altri, i compagni di viaggio Paul McCartney e Ringo Starr (attualmente gli unici due membri viventi dei Fab Four). La storia comincia dai tempi in cui i quattro ragazzi più famosi del mondo vivevano in una piccolissima stanza dietro lo schermo di un cinema a luci rosse di Liverpool, per poi avanzare con passo felpato da vero appassionato attraverso i vari stadi dell’ascesa verso l’olimpo artistico. Il tutto visto attraverso gli occhi e l’anima dello stesso Harrison, catalizzati dal tocco di uno dei cineasti maggiormente legati alla storia della musica.

Ritornando al cinema di fiction, un altro graditissimo ritorno tra le braccia della macchina da presa è quello del nostrano Gianni Amelio con Il primo uomo (con Jacques Gamblin, Catherine Sola, Maya Sansa), pellicola drammatica di produzione italo-franco-algerina che vede come pilastro portante narrativo uno scrittore impegnato in un importante rientro nella sua terra di origine, l’Algeria, azione alla quale giunge spinto dalla sua proverbiale convinzione relativa alla possibilità di convivenza armonica tra musulmani e francesi in quanto nativi della stessa terra. Ma in un periodo come quello degli anni ’50 la situazione è ben lungi dal risolversi in maniera pacifica, pertanto l’uomo approfitta del viaggio anche per ritrovare sua madre e tentare di rivivere la sua giovinezza in un paese difficile ma non per questo esclusivamente cupo ed oscuro. Ripercorrendo, dunque, la morte del padre nel primo conflitto mondiale, la povertà familiare con relativo, imperante ed ottuso patriarcato, nasce anche la possibilità di rivalutare il periodo della propria personalissima formazione per esaminare più a fondo e in maniera ben più consapevole tutte quelle inevitabili e difficili scelte di vita compiute o lasciate al proprio destino. Forse tra i film più interessanti del momento.

Infine, per rimanere nell’ambito del cinema tricolore potrebbe, forse, venirci in aiuto l’interessante Sandrine nella pioggia di Tonino Zangardi (con Sarah Forestier, Adriano Giannini, Luca Lionello, Alessandro Haber), già autore di diverse pellicole di non minore interesse quali Prendimi e portami via o Un altro giorno ancora, qui alle prese con un uomo e una ragazza che si incontrano in una piovosa ma significativa giornata per entrambi. L’attrazione tra i due è pura energia inspiegabile, ineluttabile mistero, forza invisibile che finisce per legare persone completamente differenti in cerca di ciò che potrebbe mancare alle rispettive esistenze ma di cui non si conosce una precisa id(entità). Amore, senso di colpa, comprensioni ed incomprensioni fatte di silenzi la fanno da padrona al fine ultimo di scatenare pulsioni, sensazioni e passioni altrimenti inesprimibili attraverso il concetto di razionalità.

Buona visione.

Stefano Gallone

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