
Prigionieri (dei) politici: viaggio al centro del voto/2
ANGELI E DEMONI – La disputa elettorale esce dalla aule di Montecitorio e scopre il peso di due nuovi “partiti”: la Chiesa e la magistratura
di Francesco Guarino
Lo so, probabilmente i fallimentari equilibrismi politici della prima parte del nostro viaggio vi hanno un po’ scombussolato. Tuttavia dobbiamo chiedervi di restare ai vostri posti con le cinture allacciate: le urne si avvicinano, ma la strada che ci separa da esse cela ancora troppe zone d’ombra. Oggi conosceremo due partiti che non troverete sulle vostre schede elettorali, ma che stanno influenzando più voti di quanto non abbiano fatto le marce del popolo viola o le adunate pidielline di Silvio Berlusconi: la Chiesa, col suo silenzioso partito dell’amore (nel senso cattolico del termine) e la magistratura, nella più alta accezione antiberlusconiana del termine. Il viaggio continua, e le turbolenze in arrivo sono di quelle che fanno scattare le luci di sicurezza.
ANGELI IN TONACA – Il paragone è ai limiti del sacrilego, ma non può lasciare indifferenti. Se vi dicessimo, ad esempio, che le ombre che giacciono su di una personalità di riferimento gettano discredito sull’intero movimento ad essa subordinato, la metà di noi penserebbe al Governo di Silvio Berlusconi, l’altro 50% punterebbe il dito contro la Chiesa di papa Ratzinger. Le incertezze giudiziarie che il Premier si porta appresso sin dai tempi della sua discesa in campo politico, fanno il paio con le critiche a mezza bocca rivolte dai detrattori di papa Benedetto XVI. Aggiungiamoci che, quando l’uno si mostra ferreo con i nemici politici ed indulgente con se stesso, parimenti l’altro alza la voce con chi smarrisce l’amore per Dio, ma usa (troppo) i guanti di lana con i recenti scandali pedofilia che stanno macchiando l’immagine del Vaticano. Stato e Chiesa, così lontani in origine, si avvicinano fino a sovrapporsi, ancor più nel governo di centrodestra della triplice alleanza Famiglia-Casa-Chiesa. Eppure, dalla scomparsa di papa Wojtyla, qualcosa è cambiato non solo a livello pastorale nella missione ecclesiastica. Sepe, Bagnasco, Bertone, sono nomi balzati quasi con violenza agli onori delle cronache negli ultimi mesi, ma molto più per le invasioni di campo politiche che per le opere di spirito. Il “la” lo aveva dato la scorsa estate “l’Avvenire”, con la massiccia campagna di accoglienza degli immigrati ad opera della Chiesa: una diretta opposizione al decreto governativo di respingimento, varato per fronteggiare l’emergenza barconi e il sovraffollamento dei CIE ,ex CPA, siciliani. Un’arringa cattolica degna del miglior Grisham, giustificabile seppure solo in parte con la disinteressata carità cristiana.
Il colpo di grazia (divina, s’intende) è stato rifilato al Vaticano con la candidatura a Governatore della Regione Lazio di Emma Bonino, sui cui scontri con la Chiesa è persino superfluo soffermarsi. La risposta della CEI è stata degna di un militante politico: «Ci auguriamo che il prossimo voto sia un voto a favore della vita». Una vera e propria bolla di scomunica, che indirizza totalmente a destra il voto cattolico. Una componente, quella del voto incanalato dai diktat delle sfere di derivazione papale, tutt’altro che trascurabile nella Penisola, considerata la massiccia quantità di cittadini votanti over 60 (quasi un terzo degli aventi diritto), che è facilmente riconducibile ad un modello culturale di matrice cristiano-cattolica. La Bonino è tentata dal chiedere a Dan Brown come piazzare l’antimateria sotto piazza san Pietro, poi ci ripensa e si trincera dietro un «La Chiesa ripete sempre la solita solfa». A Roma, addirittura, don Stefano Tardani manda una mail alle coppie del suo Movimento dell’Amore Familiare, in cui appare la famosa foto della Bonino intenta a praticare un aborto clandestino. La sinistra s’indigna, il centrodestra gongola. All’ombra della Cappella Sistina scatta l’operazione retromarcia che, però, è forse anche peggio del danno commesso. «Il diritto alla vita non è negoziabile, ma conta anche quello al lavoro, nonché alla casa e all’accoglienza degli immigrati», riferisce il cardinale Bagnasco in una lettera dei vescovi liguri. Un colpo al cerchio e uno alla botte, una strizzata d’occhio a destra e un contentino a sinistra. Il problema, evidentemente, è dettato anche qui da una nuova sovrapposizione: a furia di essere ministri dei sacramenti, qualcuno dalla Santa Sede ha creduto che gli spettasse honoris causa anche una poltrona a Montecitorio. I bigliettini elettorali non si chiamano forse “santini”?
DEMONI CON LA TOGA – Fino a un paio di decenni fa, si provava una forma di imbarazzo e riverenza a pronunciare la parola “magistrato”: l’alone di rispetto che circondava i più alti rappresentanti della Giustizia, era ancora bagnato del sangue di Falcone e Borsellino. Col passare degli anni, la figura del magistrato è andata lentamente affrancandosi: vuoi perché sono venute a mancare icone carismatiche e di riferimento, quali i due compianti giudici antimafia siciliani, vuoi perché molti tutori della legge hanno scelto sapientemente di abdicare al rito della sovraesposizione mediatica. Lo scoppio di Mani Pulite, però, ha consegnato ai riflettori una nuova figura: il pubblico ministero. Su tutti si è issato un giovane molisano, lontano anni luce dagli standard delle aule di giustizia hollywoodiane, tanto per estetica quanto per eloquenza. Antonio Di Pietro e il suo pool investigativo hanno scoperchiato il vaso di Pandora della corruzione e hanno assestato il colpo di grazia alla Prima Repubblica. Il punto di non ritorno avvenne in diretta televisiva, il che ben rende l’idea del peso televisivo che aveva acquisito Di Pietro all’epoca: il pm più amato dagli italiani gettò platealmente la toga in terra ed abbandonò l’aula, temendo un’inchiesta (poi conclusasi con un nulla di fatto) nei propri confronti. Un addio teatrale, per aprire ufficialmente agli uomini della pubblica accusa le porte del più grande dei palcoscenici della finzione: quello della politica. Un addio che ha segnato lo spartiacque tra i pubblici ministeri chini dietro i faldoni e quelli in piedi sulla scrivania, a risplendere di luce propria allo scintillio dei riflettori. L’obbligatorietà dell’azione penale è diventata necessità: capannelli di giornalisti all’uscita dai tribunali, ospitate in tv, candidature politiche. I pm sono gli eroi della sinistra, i Che Guevara della giustizia (qualcuno il rivoluzionario se lo appende persino nell’ufficio, vero giudice Argento?) a cui basta sparare a zero sulla Casta politica per assurgere al rango di eroi materiali e spirituali.
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