
Pirateria online: vizio o necessità?
Roma – Dati Ipsos derivanti da un’indagine svolta nella capitale, relativamente al download di materiale cinematografico, sentenziano un dato di fatto inequivocabile: nel corso dell’anno 2010, il 37% della popolazione italiana ha preferito usufruire di pirateria online, incentivando, di questo passo, la decrescente produzione e distribuzione di pellicole in sale cinematografiche in potenziale via di scomparsa per mancata disponibilità a sostenere i costi di manutenzione e rinnovamento. In aumento del 5% rispetto al 2009, il “file sharing” selvaggio ha portato la Federazione Anti-Pirateria Audiovisiva, in conferenza alla Casa del Cinema di Roma, a contare 384 milioni di atti mediaticamente spesso giudicati come vandalici (30 milioni in più rispetto ai precedenti rilevamenti). A subire i maggiori danni sono stati la vendita (150 milioni) e il noleggio (130 milioni). Le sale cinematografiche, in più, contano circa 100 milioni di negativo in bilancio. L’età media degli utenti in download varia tra i 15 e i 34 anni. I tre quarti di queste persone è, tra l’altro, perfettamente a conoscenza di aver compiuto quello che viene giudicato un reato (applicando la legge materiale ad un concetto immateriale di linguaggio binario; ci sarebbe anche qualcosa da dire su questo, volendo).
C’è da considerare, però, che non rimane affatto da escludere il versante musicale, dove, anzi, le cifre risulterebbero probabilmente astronomiche. Il dramma principale, per contro, rimane un altro (forse ancora più importante): nessuno si chiede mai il motivo delle preferenze di download rispetto alle decrescenti vendite legali, preferendo puntare il dito contro l’utente di turno facendogli anche il gesto delle manette. Ipotizzare qualcuno di questi motivi non è un reato nè una bestemmia.
In primo luogo, ovviamente, il risaputo ed inaccettabile prezzo standard (a volte incrementato per motivi futili di grafica o edizione limitata di poco conto) ai limiti del digeribile per un portafogli nazionale sempre più vuoto. In questo ambito, infatti, giudicando musica, cinema e, perché no, anche letteratura come un lusso e non come fonte dissetante di cultura, nessuno si è preso la briga di guidare l’attenzione degli utenti del web sui negozi online come Play o Amazon, dai quali (specialmente per quanto riguarda il primo dei due, e non è affatto pubblicità) è possibile ordinare i dischi di nuova uscita ad un prezzo da grossista completamente dimezzato (in genere sui 12 euro, contro i 20 in media di un cd fresco di stampa) e, talvolta, senza alcuna spesa di spedizione (in questo play è paladino, pur avendo come fulcro di distribuzione il Regno Unito: consegna entro una settimana). Lo stesso, ovviamente vale anche per i dvd, anche se un sonoro monito va rivolto anche alle sale cinematografiche che si fanno pagare 7 o 8 euro lo stesso film passato il pomeriggio a 5 solo perché si tratta della visione serale.
I motivi per cui comunque un’ampia fetta di popolazione appassionata predilige il download a caimano restano comunque legati a relative difficoltà di reperimento online per purissima pigrizia ed inettitudine tutta italiana (anche se basterebbe una Postepay ricaricabile e un paio di istruzioni elementari; ah, dimenticavamo: a volte sono in inglese, è un trauma). Ma non è da sottovalutare anche (o forse soprattutto) un continuo e consapevole movimento di boicottaggio delle multinazionali sia di distribuzione che, soprattutto, di vendita (i megastore, in aumento come funghi anche nei piccoli centri urbani). Un eventuale senso di colpa da parte di questi ultimi, evidentemente, esiste e si manifesta nella scelta (non è un’accusa, è una constatazione) di Feltrinelli, Fnac e Ricordi Media Store, ad esempio, di svalutare soprattutto cd e dvd portandoli a prezzi mai visti nè immaginabili prima: dischi di artisti di fondamentale importanza come John Mayall, Nick Drake, Rober Wyatt, Animals, Ramones, Roger Water, Caravan, Camel, Paul Weller, Marvin Gaye oltre a tanti altri, incluse intere ordinazioni di cataloghi jazz (Ornette Coleman, Herbie Hancock, Thelonious Monk, Bill Evans, Sonny Rollins, Michel Petrucciani, Coleman Hawkins, Lester Young) spesso e ben volentieri non superano i 5,90 euro a pezzo (in alcuni cofanetti onnicomprensivi è possibile pagarli anche meno).
L’impressione che, per i venditori, la responsabilità dell’aver aperto il campo al download selvaggio sia giustificabile con la scelta fondamentale (il taglio netto di alcuni prezzi) ma estremamente ritardata nel contrastare l’ondata di pirateria, ormai in così ampia diffusione da non poter essere arginata nella sua totalità, sembra non essere affatto infondata. Ad ogni modo, nessuno, ai vertici delle istituzioni, si è mai e poi mai preso la briga di considerare la potenziale utilità (fatta eccezione dell’onnipresente malafede umana) della rete come strumento di conoscenza: migliaia di appassionati di buona volontà, infatti, chissà per quale motivo riescono spesso ad effettuare comunque in anteprima il download delle nuove opere dei propri beniamini (chissà chi le carica sul web: sospetti bazzicano attorno alle stesse etichette soprattutto discografiche per una sorta di controboicottaggio da incastro; ma sono solo sospetti, è chiaro) scegliendo comunque, poi, di acquistare l’oggetto, anche nelle edizioni limitatissime (con oggetti, fanzine o materiali inediti vari) che le case di produzione si sentono in dovere di produrre, a prezzi quasi stellari, pur di vendere qualcosa. Si considerino, inoltre, le altrettante migliaia di utenti (sempre appassionati) che, solo ed esclusivamente attraverso il download gratuito riescono a conoscere e ad apprezzare nuovi artisti (audio o video) che altrimenti non avrebbero avuto l’opportunità di testare non avendo a disposizione patrimoni monetari sufficienti per ascoltare o vedere tutto ciò da cui si viene attratti. Se si lasciassero passare almeno questi due ultimi e preponderanti punti, probabilmente si arriverebbe ad un buon accordo tra le parti. Ciò non potrà mai avere luogo laddove le major di produzione e distibuzione scelgono di continuare, imperterrite, a fingere un simile accordo imponendo i download a pagamento, pura forma di pirateria autorizzata: pagare per avere comunque un cd masterizzato. Il colmo. O no?
Stefano Gallone
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