Per Gino Castaldo le proteste attuali non hanno “colonna sonora”

Eddie Vedder, leader dei Pearl Jam, durante una manifestazione di protesta

In una recentissima intervista telefonica a Rai News 24, in veste di chiarimento riguardo un suo recente articolo, il bravo e conosciutissimo critico musicale Gino Castaldo, nel corso della conversazione tenuta con la conduttrice del notiziario in quel preciso istante, ha avanzato una sua idea anche abbastanza discutibile, per la semplice ragione che vuole (strano doverlo constatare per una persona così competente e colta come lo stesso Castaldo, autore anche di diversi libri “didattici” sulla storia del rock e dei suoi soci) l’Italia incapace di farsi carico di una colonna sonora generazionale per portare avanti la lotta per gli interessi sociali dell’intera comunità.

C’è da fissare subito, però, il concetto che vede il 2012 essere ben diverso dal 1968, dal 1969 o dagli anni di piombo nostrani, trattandosi, invece, di un periodo storico profondamente e prepotentemente non più legato al formato canzone come strumento di aggregazione di massa. Basta andare a guardare proprio nell’Italia degli anni ’70, dove il movimento progressive (quello vero) non è che abbia consegnato agli annali tutte queste memorabili canzoni, preferendo, invece (a ragione) una struttura molto più complessa e totalizzante pur di esprimere concetti altrettanto difficili da acquisire (specie con sottofondi di quello stampo) ma necessari alla sopravvivenza di idee mai così umane. Basta rispolverare vecchi capolavori troppo spesso passati inosservati ai non cultori (azione che comunque sta prendendo piede, per fortuna, proprio in questi ultimi due o tre anni…chissà perché) come Biglietto per l’inferno della band omonima, Ys del Balletto di Bronzo o tradurre in italiano gli apocalittici testi partenopei dei Napoli Centrale di James Senese per capire che, al di là delle hit radiofoniche, non siamo mai stati una nazione completamente zitta.

Un’ipotesi di cambiamento di tempi, però, nella sua sostanza più intima, non può che essere, invece, un fattore più che positivo, dal momento che, invece di riunirsi attorno ad un falò a cantare brani dei Jefferson Airplane, le nuove generazioni gradiscono maggiormente fare tesoro delle idee che, nella fattispecie, emergono da intere opere, intere discografie o, molto spesso, dalla sostanza stessa dell’organico che compone quelle che, in fin dei conti, potrebbero rappresentare una sorta di reminescenza passata in ambito di aggregazione sonora e poetica votata ad un unico scopo. È questo il vero modello attuale di concezione della musica e della sostanza rock. Bisognerebbe provare ad approfondirne, forse, proprio le sopra citate radici.

«Il rock latita molto. Non si sente la sua presenza – spiega Castaldo – Mi ha colpito molto il fatto che questi movimenti di protesta in tutto il mondo, in Inghilterra, in America, anche in Italia, gli Indignados, siano movimenti che non hanno colonna sonora. Forse è la prima volta che succede nella storia. C’è sempre stata della musica che apparteneva a dei movimenti di protesta, che li raccontava, con cui potevi identificarti o comunque vivere quelle suggestioni. Oggi è un po’ difficile e anche questo è un segno di una mancanza, almeno nel rock».

Castaldo, comunque, come ogni persona di cultura (anche se con una certa nonchalance vocale alquanto sospettosa, quasi svogliata) si rende conto del discorso affrontato, confermando che è vero che «c’è tanto buon rock di nicchia, c’è tanto rock alternativo che fa il suo lavoro, però non riesce, anche non per colpa sua, a farsi sentire. Quindi è vero che ci sono molte voci interessanti anche in Italia, gruppi nuovi molto molto forti, però io mi riferivo a livello internazionale a grandi voci capaci di cogliere un sentimento collettivo».

Quest’ultimo passaggio è un elemento di comune accordo tra tutti, certo. Ma la nostra nazione pullula davvero di ottime band che da anni, anni e anni non fanno altro che esprimere il loro dissenso civile attraverso testi cuciti su brani strettamente legati al punto di vista sia etico che pratico nei confronti della realtà circostante. Basterebbe soltanto che qualche giornalista con carta bianca in più, come lo stesso Castaldo, vista l’inettitudine, la cocciutaggine e il clientelismo delle produzioni maggiori, cominciasse a battere la strada dell’ “indie” per trasformarlo in “grande voce” grazie al suo eventuale potere mediatico, scendendo negli scantinati provinciali per rendersi conto della caratura di ciò che abita molte delle mura scrostate di un seminterrato insonorizzato. Comunque sia, restando ad un livello di passaggio mediatico di una certa rilevanza (e per fortuna), prendiamo, ad esempio, la casa discografica La Tempesta, artefice di almeno tre delle migliori realtà del panorama non solo musicale ma anche e soprattutto sociale, civile e politico per quanto riguarda l’espressione di un pensiero non impossibile da tramutare in azione collettiva.

Basti pensare, infatti, all’ormai popolarissimo Teatro degli Orrori di mister Pierpaolo Capovilla, vero e proprio fulcro di protesta ragionata nonché di diffusione di fondamentali contenuti culturali di primissimo livello («Musica per la testa, non per i piedi!», riipete sempre lo stesso frontman veneziano). Merito, questo, dello stesso Capovilla, uomo di intelligenza e sensibilità sconfinata, nonché di una conoscenza estremamente vasta circa l’essere umano nelle sue sfaccettature più anonime e indicibili. Ma si passi in rassegna anche quella genialità artistica e civile che risponde al nome Le Luci della Centrale Elettrica, al secolo Vasco Brondi, un vero e proprio poeta della disillusione italiota, cantore delle più oscure lacerazioni inflitte all’individuo da una modernità troppo spesso incomprensibile ed inavvicinabile. Invece di andare a pescare in giro chissà quali eccezionali motivetti orecchiabili, insomma, per far contenti Castaldo e la mania da canzone di valenza popolare, basterebbe prendere in prestito (e portare in territori ancora più doffondibili di quelli già battuti) quella meraviglia che è Produzioni seriali di cieli stellati per capire davvero come siamo ridotti in questo stramaledetto paese. Non dimentichiamoci, però, neanche dei toscani Zen Circus, tra i pochi esempi del non avere peli sulla lingua grazie a testi talmente diretti da riuscire, a volte, a ferire anche chi sa di non aver nulla da dividere con una certa fetta di finta appartenenza ad una qualsivoglia comunità (andate a risentirvi l’album Andate tutti affanculo per meglio comprendere).

Jimi Hendrix sul palco di Woodstock

Nella sostanza, dunque, l’ottimo e da noi stimatissimo Castaldo (ma, ovviamente, non soltanto lui), potrebbe anche provare a scollarsi dalla poltrona della sua scrivania negli uffici di Repubblica per provare a scendere un po’ di più (non che non lo abbia fatto, intendiamoci) negli inferi dei garage provinciali (e non solo) per rendersi conto di quanta sostanza pullula nelle menti di esseri umani forse anche ben più “incazzati” di quarant’anni fa, il cui obiettivo non è più quello di organizzare coreografiche adunate in sterminate vallate con, in testa, un palcoscenico e, nel cuore della zona, milioni di persone che, magari, neanche fanno caso alla musica e ai concetti che vengono espressi in un’occasione così importante.

L’attualità è ben altra cosa. Non bastano primi maggi o Woodstock 5 Stelle per portare avanti un’idea. Essa viene lanciata, recepita e portata in atto, trasformata in azione e non più statica su un 45 giri per quanto di immensa qualità artistica e comunicativa. Ad ogni modo, chi davvero cerca nella musica e nell’arte in generale una spinta, una pulsione esistenziale votata al sacrosanto ottenimento dei propri diritti, sa dove trovarla e di certo non ha bisogno di un appoggio “famoso” se davvero vuole portare avanti la propria idea di protesta effettiva.

C’è da capire che il nuovo millennio sta vedendo avanzare, sempre di più, l’abolizione di un importante passaggio intermedio, ovvero quello della necessità di divulgare a largo raggio una canzone affinchè essa arrivi all’udito, alla mente, al cuore e all’anima di chi (ovviamente) vuole recepirla (e su questo si potrebbe aprire un altro discorso enorme e, lì si, assolutamente negativo): Interi dischi o, meglio, interi concetti espressi su di un qualunque supporto, che sia vinile, cd o mp3 di varia specie, vengono, ora, assimilati (grazie alle moderne tecnologie comunicative) dai diretti e volenterosi destinatari in maniera immediata. Allora, invece di stare a guardare se i giovani d’oggi organizzano o meno manifestazioni di dissenso popolare al grido di Revolution, si andasse, per cortesia, a parlare con le persone, a camminare artisticamente al loro fianco, ad ascoltare ciò che hanno realmente da dire in qualsiasi forma di espressione (che sia una canzone, un film, un romanzo, una poesia o, molto spesso, un quadro; va bene anche una bestemmia), e riportarlo sui quotidiani sui quali si ha la fortuna di essere ospitati, senza per forza pretendere che una qualunque diffusione internazionale possa essere l’unica dinamo della divulgazione di un pensiero sociale.

E comunque, eleggere una canzone a colonna portante di una generazione, di un movimento o di una qualunque iniziativa altro non sarebbe se non un incentivo proprio a quell’abitudine capitalista e mangiapane a tradimento che si vorrebbe combattere. O no?

Stefano Gallone

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3 Risponde a Per Gino Castaldo le proteste attuali non hanno “colonna sonora”

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    Francesco Guarino 07/01/2012 a 17:43

    Il binomio musica-protesta è forse quanto di più commerciale possa esistere. E un brand, una canzone, un’immagine commerciale – per poter piacere e coinvolgere – deve essere necessariamente recepita dalla maggior quantità possibile di persone. L’ampiezza del panorama musicale moderno rende fortunatamente impossibile eleggere una canzone o un gruppo, se non sporadicamente, come portavoce di una qualsiasi istanza di dissenso, o anche assenso. I primi a non sdoganarsi, però, sono proprio coloro che della conoscenza della musica hanno fatto un mestiere. Il nuovo album della rockband mondiale finisce in copertina a priori: bello, brutto o pessimo che esso sia. E tante realtà “minori” (perché non supportate dalle multinazionali di settore) sono destinate a nascere e vivere in secondo piano, tenute a galla solo da coloro che hanno voglia di andare oltre la prima di copertina e scoprire che un disco o un concerto del Teatro degli Orrori (o magari dei Ministri, seppur già in orbita Universal) è un evento musicale ampiamente superiore a quello dei riempi-stadi di turno.
    Se abbiamo per forza bisogno di un pezzo da eleggere come inno delle lotte moderne, chiudiamo Lady Gaga in sala di registrazione per un paio d’ore, faremo contenti i critici e le case discografiche. Se invece vogliamo buona musica e basta, andiamocela a cercare, scaviamo e scoviamo. O aspettiamo, se serve.
    Per le lotte sociali abbiamo bisogno di buoni governanti, non di memorabili colonne sonore.

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    Pierpaolo Capovilla 08/01/2012 a 13:10

    Stefano Gallone è piuttosto ingeneroso con Gino Castaldo, ma questo articolo mi sembra condivisibile, sopratutto nelle conclusioni. Perché è verissimo che il processo di mercificazione capitalistica delle idee funziona sempre e anche molto bene, in particolar modo nella musica popolare. È altrettanto vero che negli anni sessanta e settanta, il mercato discografico non era monopolizzato da soltanto quattro multinazionali, le radio trasmettevano una molteplicità di musiche oggi impensabile ed erano spesso esse stesse veicoli consapevoli di contenuti culturali inferenti nel reale; i giovani accedevano all’istruzione, alla cultura e alla politica come soggetti attivi. Il riflusso politico e sociale, che dura dagli anni ottanta e che oggi sembra essersi definitivamente compiuto, ci ha portati alla musica pop più insignificante che si sia mai ascoltata. È grazie alla televisione (Video Kill Radio Stars …), al CAF, e infine al ventennio edonistico berlusconiano, che i nostri ragazzi -ma non soltanto loro- sono diventati tanto indifferenti alla musica di lotta e di impegno sociale.
    Quest’ultima -Castaldo sembra non accorgersene fino in fondo- continua ad esistere, anche se non coronata dal successo commerciale tout-court.
    In fin dei conti, ciò che più rattrista in questi anni d’inizio millennio, è la profonda incultura, superficialità, incapacità analitica: caratteristiche delle nuove generazioni, e colpa grave delle antecedenti.
    È quasi scioccante l’esempio che ci offre il web: un’interlocuzione anche solo minimamente erudita, è diventata quasi impossibile: c’è, in Italia, un analfabetismo generalizzato, che non è “di ritorno”, ma è nuovo di zecca, e che secondo me è dovuto all’imbarbarimento dei rapporti sociali, anche quelli più privati, e alla distruzione sistematica dell’istruzione pubblica avvenuta in questi anni.
    La buona musica, quando dotata di impegno sociale, e il rock in particolare (per vocazione, per tradizione) può ancora svolgere un ruolo propositivo nel sociale, inducendo un qualche mutamento nell’immaginario collettivo. Non saranno certo le multinazionali del divertimento, che hanno divorato tutte le etichette più significative e ridotto al silenzio le più piccole, a veicolare idee nuove e opposizione allo stato delle cose in cui viviamo.
    Ora, Castaldo ha ragione nel dire che non c’è colonna sonora, ma soltanto nella misura in cui essa non è universalmente udibile; ha ragione, purtroppo, anche Gallone, perché oggigiorno ciò che diventa nazional-popolare è sempre ed inevitabilmente conformato ed asservito alle regole del capitalismo contemporaneo, che sa e può soltanto mercificare tutto e tutti.
    Che fare?
    Leggo anche l’amaro commento di Francesco Guarino. E mi viene spontanea una considerazione: in questi anni, il nostro ceto politico si è dimostrato, a destra come sempre, e a sinistra tanto per cambiare, insufficiente e inadeguato. È la società civile, caro Francesco, che deve oggi fare la sua parte, e con essa gli artisti, dio santo!: nel cinema, nella letteratura, nel teatro, nelle arti visive, nell’architettura, si signori: nell’architettura, e nella musica. Nella Musica, sopratutto. Gli artisti -chiamiamoli come ci pare, ma comunque soltanto se veramente tali- non hanno niente da perdere, se non la loro dignità.

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  3. avatar
    Stefano Gallone 08/01/2012 a 19:05

    Ciao Pierpaolo e grazie per l’attenzione.
    Ti dirò: sono ingeneroso con chi credo sia altrettanto ingeneroso, anzi avido, nello scegliere di non portare alla ribalta ciò che merita pur avendo i mezzi per farlo senza nemmeno troppa fatica, diciamolo. Quando possibile, addirittura io (che non sono assolutissimamente nessuno) lo faccio con delle band emergenti che ritengo meritevoli (vedi i MasCara in arrivo con l’album di debutto a marzo), non vedo perché non possa farlo colui che si dice appassionato, attento e (a maggior ragione) con un riscontro di migliore portata.
    Perfettamente d’accordo con te (conosco già il tuo pensiero e l’ho sempre condiviso e sostenuto). Solo consentimi una precisazione: l’incapacità analitica è forse anche frutto della mancanza di volontà nell’uscire fuori dal guscio di melma. Voglio dire: io sono nato nell’orwelliano anno 1984 e sono cresciuto in piena esplosione berlusconiana. Avrei dovuto lasciarmi distruggere ineluttabilmente e nella classica maniera indolore, stando alle statistiche di probabilità di sopravvivenza intellettuale. Non per vantarmene (ci mancherebbe) ma, con i dovuti sacrifici economici e soprattutto morali, non credo proprio di esser venuto fuori come una specie di suo discepolo. Anzi. Scatenerei una guerra se ne avessi le competenze. Il che vuol dire che è possibile uscirne e ragionare con il proprio cuore, con la propria anima e, soprattutto, col proprio cervello. Eccome. Basta volerlo. Come basta voler andare a fondo nelle cose per capire che di alternative ce ne sono ma hanno bisogno di visibilità. E mi incazzo da cani quando vedo personalità di spessore (è stato il caso di Castaldo, può essere il caso di chiunque) fregarsene deliberatamente. Anzi, peggio: ammettere con nonchalance di conoscere la situazione “underground” (termine che comunque non apprezzo) è, secondo il mio modesto parere, una doppia presa per i fondelli visto che poi nelle varie occasioni i temi trattati son sempre quelli, cotti, mangiati, digeriti e riciclati.
    Tu e Giulio avete portato in giro addirittura Majakovskij. Fino a poco tempo prima nessuno, tra le nuove generazioni, conosceva Majakovskij. Bene: quella è una base fondamentale. Perchè non seguirla e sostenerla con maggiore diffusione?
    Ti rinnovo il ringraziamenti per l’interesse e, se vorrai e se potrai, ci risentiremo presto per l’imminente nuova uscita discografica (che non vedo l’ora di assaggiare).
    Un saluto
    Stefano

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