
Nucleare iraniano, tra incoerenza e paura
La questione del nucleare iraniano e le dichiarazioni di Berlusconi alla Knesset incrinano i rapporti fra Roma e Teheran
di Marco Luigi Cimminella
Alla vigilia del 31° anniversario della nascita della Repubblica Islamica dell’Iran, diverse decine di miliziani Basiji, sostenitori del governo di Ahmadinejad, hanno manifestato contro l’ambasciata italiana a Teheran. Tra un “A morte Berlusconi” e il lancio di pietre contro il palazzo diplomatico, i manifestanti hanno espresso il loro disprezzo nei confronti delle ultime scelte politiche internazionali del governo italiano che, ribadendo la forte amicizia tra Gerusalemme e Roma, si pone a fianco delle altre potenze occidentali, nel tentativo di osteggiare con ogni mezzo la teocrazia iraniana.
Ancora echeggiano, nella Knesset, le parole del premier italiano che auspica, in un immediato futuro, l’ingresso di Israele nell’Unione Europea. Come al solito, gli auspici avventati e le dichiarazioni incaute di Berlusconi sono state da un lato ridimensionate da Catherine Ashton, l’Alto rappresentante della politica estera europea, che ha insistito sulla necessità prioritaria di risolvere il conflitto palestinese prima di pensare a nuovi ed eventuali inviti; dall’altro, sono state aspramente criticate dal governo di Ahmadinejad che, con il supporto religioso dell’ayatollah Khamenei, incita il popolo a rimanere unito contro l’infedele. Teheran è pronto a vibrare un poderoso “pugno contro le arroganti potenze occidentali” che, alternando la minaccia del bastone con la promessa della carota, cercano di universalizzare valori tipicamente occidentali che cozzano irrimediabilmente con i sacri dettami del Corano (almeno nella sua versione sciita iraniana). Inoltre, con continue sanzioni e condanne, Washington e gli Stati europei si stanno impegnando instancabilmente nell’intento di ostacolare lo sviluppo militare e nucleare iraniano.
Di fronte al vano tentativo di arginare il problema della proliferazione degli armamenti, la tensione in seno alla comunità internazionale si fa sempre più palpabile. In seguito alla dissoluzione dell’URSS, vantando pretese di primato mondiale, gli Stati Uniti hanno sempre cercato di ostacolare la diffusione di centrali atomiche a scopi militari. La mutua deterrenza, nel corso della Guerra Fredda, sembrava essere il sostegno della fragile e pericolante impalcatura diplomatica che garantiva l’equilibrio internazionale. Successivamente, però, si è rivelata piuttosto pericolosa. Molti Paesi, per colmare il gap tecnologico e bellico che li rendeva deboli rispetto alla superpotenza statunitense, hanno cercato di sviluppare testate nucleari. In fondo, se non si può distruggere il nemico, il possesso di un armamento atomico consente di infliggergli danni considerevoli. Capita l’antifona, diversi Paesi si gettarono nella corsa finalizzata all’arricchimento dell’uranio a scopi militari.
Corea del Nord, Pakistan, India, Israele, Sudafrica, Kazakistan, uno dopo l’altro, avviarono l’implementazione di progetti tesi alla costruzione di letali armamenti bellici, per ribadire con forza il loro ruolo di protagoniste nella definizione degli assetti, dell’equilibrio e della stabilità internazionale. Dal loro rango “sopraelevato” di grandi potenze, Russia, Cina, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna hanno sempre cercato di conservare inalterato il loro status indiscusso di uniche potenze nucleari. Ma, evidentemente, nonostante gli incessanti tentativi, non sono riusciti nel conseguimento del loro obbiettivo.
Le parole di Berlusconi al Parlamento israeliano hanno ricalcato la falsa riga della condanna unanime che i leaders intervenuti al G8 dell’Aquila avevano espresso nei confronti delle pretese iraniane. Ma Washington, mentre deprecava i processi di arricchimento dell’uranio di Teheran, stipulava accordi militari e nucleari con Gerusalemme.
Come gli Stati Uniti, la classe dirigente italiana avverte la necessità di nuove sanzioni Onu per ostacolare la concretizzazione dei piani di Teheran. Come gli Stati Uniti, la classe dirigente italiana dimentica che il Trattato di non proliferazione (TNP) non è stato pensato per attribuire a pochi e presuntuosi Paesi il potere di distribuire, a loro discrezione, il diritto a possedere un armamento atomico. Esso, strumentale alla realizzazione del disarmo, è invece diretto a garantire la pace e la stabilità internazionale, ponendo fine alla persistente angoscia del rischio di “saltare tutti per aria”. Le parole di Berlusconi, alla stregua di quelle della sua controparte americana, rivelano una malcelata incoerenza di fondo che il governo di Teheran non è più disposto ad accettare.