Nucleare in Germania, i dubbi di Greenpeace

Il ruolo dello stato tedesco nell’unione europea è stato da sempre quello di «porsi come locomotiva per la sperimentazione di nuove forme di energia alternativa rinnovabile»

di Adriano Ferrarato

Proteste contro il nucleare in Germania

Proteste contro il nucleare in Germania

«Il nostro timore è che la Germania possa smettere di fare da traino sull’utilizzo dell’energie rinnovabili»: con queste parole Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia ha definito la decisione, da parte dei partiti di maggioranza del governo tedesco, di prolungare la vita degli impianti nucleari nazionali di altri 12 anni. Una decisione definita dalla cancelliera Angela Merkel, una “rivoluzione” che non è rimasta comunque immune da dibattiti e forti polemiche.

«La Germania è un paese virtuoso, – spiega Giannì – il cui ruolo nell’unione europea è stato da sempre quello di porsi come locomotiva per la sperimentazione di nuove forme di energia alternativa rinnovabile. Pensando infatti ai tagli imposti dal protocollo di Kyoto (che impone una riduzione del 20% delle emissioni dannose) si nota come i tedeschi siano praticamente già arrivati ai valori previsti da raggiungere entro il 2020. Per l’Italia invece siamo ancora  molto al di sotto, con notevole ritardo».

Il direttore ha chiarito  poi l’importanza dell’utilizzo di energie rinnovabili e come esse stiano diventando sempre più indispensabili: «Il nucleare non produce CO2, salvo poi creare inquinamento attraverso la smaltimento dei rifiuti tossisci e il loro trasporto. Inoltre il costo della costruzione di una centrale dalle dimensioni elefantiache è molto elevato». Non a caso infatti si prolunga la vita ad impianti già esistenti, con la possibilità comunque «di un loro invecchiamento e deterioramento, con tutti i pericoli che rischiano di generarsi. Guardando per esempio agli Stati Uniti, basta sapere che l’energia solare sta risultando sempre più conveniente di quella nucleare».

Greenpeace in azione

Greenpeace in azione

Ma se il rinnovabile si sta dimostrando di gran lunga migliore, perché si continua ad investire sul nucleare? «Ci sono purtroppo delle forti lobby che hanno tutto l’interesse a mantenere la situazione tale – ha riferito Giannì – con forte circolazione di capitali e quote da capogiro (tra cui anche quello di alcune banche italiane, come dimostra una ricerca dello scorso maggio operato da BankTrack). C’è però una forte necessità di moltiplicare gli sforzi, perché stando a quanto stabilito nel recente summit di Copenaghen si è ancora troppo lontani dal risolvere il problema del surriscaldamento terrestre: sommando infatti tutti i tagli promessi in questo ambito dai singoli stati dell’Unione, arriveremmo ad un surriscaldamento della temperatura della crosta pari a quasi più di tre gradi. Considerando che il valore di sicurezza è circa 1,5 sarebbe un disastro».

Quello che serve allora è una nuova politica energetica che limiti gli sprechi e provveda a dare sempre più futuro alle energie alternative. «Ci sono alcuni problemi di fondo. Innanzitutto, il rinnovabile dipende dai fattori ambientali, quindi c’è la necessità di costruire centrali sul modello smart- grids in grado di gestire input energetici variabili nel tempo. Il sistema è molto simile a quello di internet: una rete efficiente e flessibile in grado anche di gestire i surplus di produzione energetica. Una sorta di on-demand capace di sopperire continuamente al flusso di richiesta e offerta, un po’ come viene fatto in Spagna, con impianti in grado di accumulare il calore in eccesso e riutilizzarlo non appena viene richiesto. Inoltre occorrono importanti investimenti da parte dei governi per realizzare queste strutture».

Pala eolica

Pala eolica

Il passaggio dovrebbe avvenire tramite lo sfruttamento di fonti energetiche transitorie come ad esempio il gas, «una fonte energetica regolabile, che può essere modulata per ammortizzare ogni squilibrio, aumentando in parallelo l’utilizzo delle rinnovabili». Ed è per questo che Greenpeace tiene molto al ruolo promotore dei tedeschi sul piano dell’innovazione, pena il fallimento.

Alessandro Giannì ha poi concluso chiarendo quale è lo stato attuale italiano nell’utilizzo del “rinnovabile”: «Le nostre infrastrutture sono inefficienti. Lo scandalo è che i nostri impianti non presentano neppure modalità di allaccio alla rete per utilizzare le fonti energetiche». Tra «dighe che hanno fatto scempi» e parchi eolici assolutamente inadeguati a gestire le sovrapproduzioni, il nostro paese si presenta ancora una volta in termini davvero negativi.

Si ringraziano Alessandro Giannì, Vittoria Polidori e Greenpeace Italia per la gentilissima disponibilità e preziosa collaborazione

Foto: via ecologiae.com, ansa.it, libero-news.it

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