Murat Cinar, il suo grido per la libertà di stampa in Turchia. Intervista

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Murat Cinar, giornalista e videomaker impegnato nella lotta dei diritti civili fondamentali (Facebook.it)

TORINO- Nato a Istanbul, vive a Torino dove lavora come giornalista libero e attivista sociale video. Sebbene ormai italiano d’adozione non perde d’occhio la Turchia, la terra che gli ha dato i natali,  e per la quale si batte per i diritti fondamentali di altri suoi colleghi meno fortunati. Questa è, molto in sintesi, un’istantanea di Murat Cinar che, in questi mesi, ha lanciato in rete un appello per la libertà di stampa, espressione e pensiero e invita tutti i giornalisti che lavorano in Italia a non lasciare soli nella loro battaglia i colleghi detenuti in Turchia. Reporter senza Frontiere  denuncia la posizione turca  al 149esimo posto su 169 nella Classifica mondiale della Libertà di stampa  del 2015. Murat nella sua intervista per Wakeupnews chiarirà alcuni punti salienti della situazione turca e della figura “scomoda” del giornalista in questa difficile realtà.

Cosa vuol dire essere un giornalista in Turchia? Oltre al compito di informare, di far chiarezza sulla realtà, pensi possa essere una missione, che abbia anche un importante ruolo nella compagine politica? Essere un giornalista in  Turchia non ha soltanto una definizione, ha due possibilità: una è far parte dei grandi media, ogni giorno che passa parlare sempre meno in senso critico del governo, del presidente della Repubblica, seguire la linea editoriale del tuo quotidiano, magari trattare anche delle tematiche che non sono politiche (sport, notizie stile paparazzi, moda, cinema) in questi campi ci sarebbe da scrivere in una sorta di libertà. Invece, se si vuole fare giornalismo investigativo, politico, giornalismo sull’andamento economico, in questo caso le scelte sono due, cioè, o far parte dei media mainstream e seguire la linea redazionale, ovviamente essendo vicini alla linea politica-economica del governo, oppure, far parte della stampa alternativa e questo vuol dire affrontare un certo pericolo, ma anche una grande difficoltà economica. Per chi fa parte della stampa alternativa, fare il giornalista, non è soltanto informare, ma vestirsi di una missione importante.

Alla luce degli ultimi eventi: gli attentati, della crisi delle frontiere, del terrorismo imperante, come pensi potrebbe evolversi la situazione turca? E come i media turchi descrivono la realtà? I media turchi, anche in questo caso, si dividono in due. La settimana scorsa mi trovavo in Turchia e  per il maltempo e la paura delle bombe, ho avuto  l’occasione  (o la sfortuna) di guardare molto la televisione. In Turchia la trasmissione via cavo e quella digitale tramite decoder ti permettono di accedere a molti canali tv sia nazionali che locali. Su 130 canali tv che trasmettono sul digitale, una buona parte non parla del conflitto in atto tra il partito dei lavoratori del Kurdistan e le forze dell’ordine. Dato che era appena avvenuto l’attentato di Bruxelles e il governo aveva dichiarato che uno degli attentatori è stato espulso dalla Turchia ed era stata informata l’autorità belga che non ha preso nessuna misura di sicurezza, nonostante questo, giorno e notte i nostri canali tv parlavano dell’attentato di Bruxelles vantavano il nostro governo e di quanto fosse efficiente rispetto a quello belga che non agiva. Si dà anche molto peso alle dichiarazioni del presidente della Repubblica, del Premier, i comizi nei loro partiti. I canali nazionali dell’opposizione e quelli alternativi, trasmettono notizie relative al conflitto in atto, le condizioni degli immigrati siriani in Turchia, della “fregatura” del patto con l’UE. Stessa situazione per quanto riguarda la stampa, spesso collegata ai canali tv vicini al governo, che coprono la maggior parte del paese e alcuni giornali a larghissima diffusione vengono distribuiti in maniera gratuita in tutto il Paese, quindi, l’informazione è sempre di parte per il cittadino semplice.

Come si può contrastare la censura, in nome dell’informazione e della verità, in una situazione così critica? Come viene presentato,  a proposito, il clima tra il governo turco e quello russo? Per come sono messe le cose in Turchia contrastare la censura non si può! Il Consiglio di Venezia, organo indipendente, per il quale lavoro come consulente esterno per la Commissione Europea, ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica su una serie di articoli e leggi della Costituzione turca e del Codice penale turco che creano la censura e l’autocensura: per esempio vilipendio del Presidente della Repubblica, del Primo Ministro, con conseguenti condanne in carcere, in certi casi. Secondo la ricerca di rete dei giornalisti indipendenti BNET (2015) : 17 persone, tra cui 15 giornalisti e 2 fumettisti, sono stati denunciati, processati, condannati a 21 anni di detenzione, per l’articolo 299 della legge 5735 del codice Penale turco, che tratta del vilipendio del Presidente della Repubblica. Per contrastare la censura ci vorrebbe un cambiamento profondo del Codice Penale e della Costituzione, inoltre si dovrebbe ripristinare la cultura della libertà di stampa ed espressione in Turchia in modo che il lavoro del giornalista non sia più visto come un tentativo di sovvertire il sistema democratico o attuare un colpo di stato, ma come un elemento importante della democrazia e libertà del paese.

Perché vengono arrestati così tanti giornalisti? Il governo turco non riesce a dare delle ragioni soddisfacenti, spesso, anzi  sono fuorvianti. Secondo te è possibile avere delle risposte? I giornalisti vengono arrestati per un motivo politico e uno legale, entrambi interconnessi. Una serie di cambiamenti legislativi avvenuti con l’introduzione della Costituzione dell’80, subito dopo il colpo di Stato, e con una serie di cambiamenti fatti durante il governo del Partito dello Sviluppo della Giustizia, definiscono “terrorista” un qualunque cittadino che fa informazione. La maggior parte dei giornalisti in carcere sono curdi, portavoce di coloro che non possono esprimersi nel sud est della Turchia, fotografano e documentano i luoghi in cui è in atto il conflitto, in cui c’è la violazione di diritti. Questo è il caso della reporter  dell’agenzia JinHa liberata dopo 102 giorni di carcere, arrestata per il suo quadernetto di appunti e le sue foto, o il giornalista che ha fotografato il momento in cui si avvicinavano i militanti Isis con i soldati turchi ai confini con la Siria. Gli articoli della Costituzione e gli altri introdotti dopo la caduta delle Torri Gemelle possono permettere delle condanne non solo di terroristi o di chi sostiene gli attentati, ma anche di chi  non fa parte di organizzazioni terroristiche e sostiene le loro attività, ma allo stesso modo chi scrive o riporta ciò che è contro lo Stato. Il giudice può, con questi strumenti, accusare di terrorismo o di far parte di organizzazioni terroristiche e quindi è questa la causa maggiore di imprigionamento dei giornalisti.

Ho aderito con grande interesse e, come me, molti altri colleghi e tutte le persone sensibili alle libertà fondamentali, al tuo appello sulla possibilità di aiuto per i giornalisti prigionieri in Turchia, sulla loro situazione, sulla libertà di pensiero, di stampa, potresti  raccontarci come stanno veramente le cose, visto che i media non ne parlano abbastanza e dirci come sarebbe possibile aiutarli? Sarebbe possibile aiutarli facendoli parlare, facendogli raccontare le loro storie e cosa vivono in carcere, alcuni vengono rinchiusi in celle di isolamento, non hanno diritto a parlare con i loro avvocati, ad accedere ai  mezzi di comunicazione e informazione, non possono vedere i loro affetti: insomma, parlarne, parlarne, parlarne! Qualche mese fa è stato condannato a 21 mesi di carcere il direttore del quotidiano BirGun, Baris Ince, un mio carissimo amico, deve fare ricorso, non è in carcere, ma il giudice ne ha chiesto la condanna immediatamente e ha poco tempo. Bisogna parlarne in continuazione e spiegare chiaramente come la volontà amministrativa che governa questo Paese, attraverso cambiamenti amministrativi, ha portato una cultura politica sociale che fa vedere il giornalista come una minaccia, nelle vesti di collaboratore con forze oscure e straniere che vuole il male del Paese. Bisogna anche impedire la collaborazione economica di aziende italiane con quelle turche che possiedono anche giornali e canali tv nazionali, che vincono anche appalti pubblici per opere pubbliche e diventano complici di una serie di azioni che limitano libertà di stampa, azione e pensiero. Ogni contributo per la libertà di stampa in Turchia e per capire la situazione che ci sta dietro è prezioso ed è sempre un passo in avanti.

Mariateresa Scionti

Foto || facebook.it; pressenza.com

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Source: Uno sguardo vero e sincero sulla Turchia, definita "il più grande carcere per giornalisti", attraverso l'occhio critico di Murat Cinar

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