
Morire di noia e vivere meglio grazie alla noia: la scienza spiega perché

Una ricerca svela che il 30% dei tipi umani soggetti alla ‘sofferenza da noia’ rischiano di morire nei successivi 3 anni (Modenacome.com)
Londra – La noia può essere un incentivo per sviluppare appieno i propri talenti? Secondo lo studioso Sandi Mann, sì: annoiarsi è uno stato d’animo negativo, potenzialmente pericoloso e capace di tranciare anni dalla vita di un individuo, ma può rilevarsi anche uno sprone insostituibile grazie al quale poter scoprire le proprie capacità, talenti, attitudini e possibilità creative.
CAVIE IN LABORATORIO – Questo almeno è quanto racconta David Robson per Bbc News il quale è andato a stanare Mann nel suo studio per scoprire come si fa ad analizzare la noia umana e a capirne gli effetti distruttivi e creativi che essa ha sul corpo e la mente. A partire dall’esperimento tipo: chiedere ai volontari-cavie di sottoporsi ad attività tutt’altro che emozionanti come copiare l’elenco del telefono. Un’agonia, riporta Robson, ma Mann è entusiasta di quel osserva.
CENERENTOLA – La noia, spiega lo psicologo, è sempre stata considerata la ‘Cenerentola’ della scienza, invece essa ha un’enorme influenza nelle nostre vite. Strano dunque che una definizione ufficiale di questo moto intellettuale ed emotivo – spiega Mann – sia datata non prima del 1852 per mano di Charles Dickens nel suo Bleak House, quando si menziona il malessere di Lady Deadlock, definendolo come «Bored to Death», annoiata da morire. Magari è proprio per l’accento negativo di questo malessere interiore che la psicologia non lo ha subito preso in considerazione e si dovette attendere la ricerca di John Eastwood, docente della York University in Canada, per avere le prime nozioni su noia e noiosi.
TIPI NOIOSI - C’è un equivoco di fondo, ammette Eastwood: di solito si crede che le persone noiose si annoino. Non è vero. Esistono due tipologie di personalità tendenti alla sofferenza da noia e in entrambi i casi non è detto che esse provino tedio per se stesse: a) coloro che possiedono una mentalità naturalmente impulsiva. Esse ricercano, spesso fino alla mania compulsiva, la novità dalché il mondo può arrivare a risultare «cronicamente sotto-stimolante»; b) coloro che possiedono una mentalità naturalmente timorosa. Esse, all’opposto del primo tipo, concepiscono il mondo come un luogo potenzialmente pericoloso perciò si rinchiudono nella loro ‘comfort zone’: ciò le rassicura, ma può produrre anche un tedio che potrebbe diventare cronico.
Va da sé che entrambe le tipologie, nei casi più estremi, potrebbero assumere dei comportamenti potenzialmente distruttivi per se stesse: consumo di sigarette, alcol, droga, disordini alimentari, comportamenti autolesionistici consapevoli o inconsapevoli. Tutte attitudini adottate spesso dagli adolescenti (ma non solo), facilmente influenzabili, ancora fragili dal punto di vista psicologico e pronti – in ragione della giovinezza – a raccogliere esperienze.
MORIRE DI NOIA – Mann mette in guardia: sembrano sciocchezze o banalità, ma non lo sono. La noia può avere un effetto dirompente sulla vita di un individuo. Secondo la ricerca condotta dal centro studi Whitehall, i dipendenti pubblici del Regno Unito appartenenti alle categorie di persone facili alla noia, hanno il 30% di possibilità in più di morire nei 3 anni successivi. Un’ecatombe.

Le mentalità impulsive tendono a considerare il mondo sotto-stimolante e ad adottare comportamenti autolesionistici come rimedio al tedio (Omoprofili.com)
VIVERE DI NOIA – Quindi entrano in scena gli psicologi educativi, il cui scopo è quello di offrire una possibilità di ‘recupero’ a coloro che non riescono ad uscire dal labirinto del piattume tra depressione e autolesionismo. Le emozioni, anche negative, devono aiutare alla progressione dell’individuo, sicché sono bene condotte finché sono ‘utili’. Questo è quel che pensa Heather Lench della Texas A&M University: la paura permette di evitare il pericolo, la tristezza a prevenire gli errori, la noia – continua Lench – può favorire la curiosità.
Dedicarsi alle solite attività può, infatti, spingere le persone a risolversi verso nuove esperienze, esplorare territori sconosciuti, nuove idee, nuove prospettive. Tornando ai volontari-cavie di Mann alle prese con l’elenco del telefono, lo studioso si è accorto che la noia aveva stimolato la loro creatività, spingendoli a trovare piccoli accorgimenti, nuove applicazioni, piccole ingegnosità per innovare la vita quotidiana. Più che sfuggire alla noia, dunque, pare che il solo modo per liberarsene sia assaporarla, lasciare che agisca sulla mente e poi da essa progredire alla ricerca di qualcosa d’altro.
D’altronde è lo stesso Mann a spiegarlo: «Se non troviamo lo stimolo nel mondo esterno, guardiamo nella nostra mente». Questo «ci permette di mettere in moto l’immaginazione. Siamo in grado di uscire dalla (nostra) scatola e iniziare a pensare in modo diverso. Senza la noia, noi esseri umani non avremmo mai potuto raggiungere le vette artistiche e tecnologiche».
Naturalmente non tutti sono così entusiasti nei confronti del tedio. Eastwood non condivide questi toni sul trionfo dello spirito umano mosso dalle profondità dell’uggia, ma ritiene che la fuga dal sentimento attraverso gratificazioni immediate quanto fugaci non sia una soluzione: noi tutti «abbiamo bisogno di ascoltare l’emozione e chiederci che cosa (essa) stia cercando di dirci per spingerci a fare cosa».
Chantal Cresta
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