
Moda made in Italy: dov’è finita l’italianità?

Bernard Arnault è il proprietario del gruppo del lusso francese LVMH, che ha acquisito numerose maison della moda made in Italy (successstories.co.in)
Il made in Italy è da sempre sinonimo di qualità e garanzia, vanto di un Belpaese che su questo marchio ha fondato la propria economia. Ma spesso la garanzia di qualità non coincide con la garanzia di provenienza: nella maggior parte dei casi dietro il made in Italy si celano imprese cinesi, americane, giapponesi, coreane, francesi. Le holding straniere che acquistano (a saldo) le grandi imprese del made in Italy – dalla moda, alle telecomunicazioni, all’enogastronomia – sono sempre di più, ed approfittano della crisi economica che attanaglia il Belpaese per fare grandi affari.
IL MADE IN ITALY ALL’ESTERO – Secondo i dati Eurispes sono oltre 500 i marchi nostrani che negli ultimi quattro anni sono finiti in mani straniere, gli ultimi del 2014 sono Poltrona Frau, ceduta all’americana Hawort, e Krizia, finita in mano cinese come molte altre aziende leader nel settore della moda. Loro Piana, famosa e rinomata griffe del cachemire, pochi mesi fa è stata rilevata per l’80% dalla holding francese Louis Vuitton Moet Hennessy (Lvmh), proprietà dell’imprenditore Bernard Arnault, che già possiede pezzi da novanta della moda made in Italy come Bulgari, Fendi, Acqua di Parma e Pucci. Prezzo del pacchetto aziendale pagato dai francesi, 2 miliardi; il restante 20% dell’azienda rimane in mano a Sergio e Pier Luigi Loro Piana. Emigrato all’estero anche Valentino, acquistato da una società del Qatar per 700 milioni di euro; mentre Gucci e Pomellato sono proprietà del gruppo francese Kering, antagonista di Lvmh, che controlla anche i marchi Dodo, Bottega Veneta, Sergio Rossi e Brioni.
LA “S”VENDITA DEL MARCHIO – Ma chi trae vantaggio dalla “s”vendita del patrimonio imprenditoriale italiano? Gli acquirenti stranieri sicuramente si, che nel momento di difficoltà economica si appropriano di aziende leader con valore aggiunto notevole. I numeri in realtà dimostrano come i vantaggi a livello di fatturato siano visibili anche per le aziende stesse, che secondo un’indagine di Prometeia hanno ottenuto, dalla fine degli anni Novanta ad oggi, performance positive, con aumenti di occupazione, produttività e fatturato. Valentino, ad esempio, negli ultimi tre anni ha registrato un più 60% negli introiti, con grandi vantaggi in termini di sviluppo del marchio. Se i soldi spesi dalle holding straniere vanno alle vecchie proprietà delle aziende acquistate, cosa rimane all’economia nazionale? Nulla, se non delle briciole e la pesante perdita di gioielli dell’artigianato nostrano, che hanno reso l’Italia famosa nel mondo. Così sono sempre meno le aziende del Belpaese che riescono a sviluppare il settore esportazioni e sempre più quelle costrette a vendere per sopravvivere nel mercato globale. Complice anche uno Stato che, nonostante le perdite, continua sulla strada della pressione fiscale alle aziende in crisi, toccando livelli record.
ULTIME VENDITE: KRIZIA E VERSACE – Krizia e Versace sono le ultime due maison di moda passate in mani

Krizia, la casa di moda di Mariuccia Mandelli, è stata da poco acquisita dal gruppo di moda cinese Shenzhen Marisfrolg (ultimenotizieflash.com)
straniere. La società fondata da Mariuccia Mandelli ha trovato un accordo con il gruppo di moda cinese Shenzhen Marisfrolg ed il passaggio di proprietà si concluderà entro aprile 2014. Così la collezione Krizia che sfilerà a Milano Moda Donna nel febbraio 2015 sarà firmata made in China, seguendo le sorti di moltissimi alti brand che, dietro la garanzia del marchio made in Italy, celano la convenienza della produzione cinese.
Pochi giorni fa invece, la storica maison Versace è diventata per un 20% americana, vendendo parte dell’azienda al fondo statunitense Blackstone, con una valutazione di 1,1 miliardi di euro. Ma contrariamente a quanto accaduto alle altre case di moda italiane in mano straniera, Donatella Versace, direttore creativo dell’azienda di famiglia, si mostra ferma nel voler mantenere il controllo della società e la libertà creativa. Un investimento, dunque, che punta a rilanciare Versace nel mondo senza perdere la qualità del made in Italy.
Creatività, qualità, bellezza, garanzia, stile e quant’altro rientra nella dicitura del made in Italy sta inesorabilmente fuggendo all’estero. Dove condurrà l’esodo dell’italianità, se non alla morte certa di una Nazione?
Cristina Casini
@cristina_casini