
Mario Balotelli, il grande equivoco: attaccante, non centravanti. Vero Mancio?
Mario Balotelli, il grande equivoco: non è un campione, né un centravanti. E solo Roberto Mancini lo aveva capito
Solo Roberto Mancini lo ha capito e, c’è da scommetterci, prima o poi se lo riprenderà. Magari quando il prezzo sarà sceso a sufficienza, perché lui lo sa bene che Mario Balotelli non è un centravanti. Proprio così: il centravanti del Milan e della nazionale non è un centravanti. Allegri, Seedorf e Prandelli hanno sbagliato tutti ad utilizzarlo come unica punta? Esattamente e reiteratamente. Il motivo del successo (altalenante) di Mario Balotelli non risiede infatti nel suo talento centellinato a seconda degli stati d’animo, né nella struttura fisica possente che ha tratto tutti in inganno. Sta nel saperlo utilizzare al meglio, come qualsiasi altro giocatore. E finora solo Roberto Mancini ha saputo farlo.
L’INTUIZIONE DI MANCINI - Intendiamoci: questo articolo non è in difesa di Balotelli. SuperMario ha dimostrato a più riprese di aver fallito il salto di qualità da promessa a fenomeno. Resterà un buon giocatore – e anche questo dipende solo da lui – e mai diventerà il campione di cui il calcio italiano e l’Italia avrebbero bisogno. I limiti caratteriali e psicologici sembrano ormai uno scoglio insormontabile per un ragazzo che solo due anni fa ci trascinò in finale all’Europeo, abbattendo a cannonate la Germania di Löw. Guardandolo e ragionando è però impossibile non porsi una domanda all’apparenza fin troppo ovvia: come fa un giocatore a rendere al massimo delle proprie possibilità se viene messo fuori posizione?
Mario Balotelli, da quando è tornato in Italia dopo l’avventura inglese, gioca da perno inamovibile dell’attacco. Del Milan e della Nazionale. E male non ha fatto: 30 gol in 54 partite al Milan, 13 reti in 33 presenze in maglia dell’Italia. Le sue avventure precedenti, si sa, sono state targate Inter e Manchester City. Con il comune denominatore della guida di Roberto Mancini (in entrambe le squadre, al netto della stagione 2009/2010 con José Mourinho sulla panchina nerazzurra), con cui ha realizzato rispettivamente 28 reti in 86 presenze (Inter) e 30 gol in 80 match (Manchester City). Medie nettamente inferiori a quelle del Milan, ma non certo per l’età. Perché Mario Balotelli con Roberto Mancini non ha mai giocato da centravanti isolato.
DÀ IL MEGLIO CON UN COMPAGNO DI REPARTO ACCANTO - Dalla sua prima stagione ufficiale in serie A, Mario è stato un attaccante: prima o seconda punta da 4-4-2 o 4-3-1-2, ma non un centravanti. Talvolta addirittura esterno del 4-3-3, ma mai terminale offensivo unico. All’Inter c’era un nome che bastava già a rendere l’idea dell’impossibilità di fare da riferimento offensivo solitario: Zlatan Ibrahimovic. E con lui Crespo, l’ultimo Adriano, Cruz, Suazo. E a seguire sarebbero arrivati, Pandev, Eto’o e il principe Milito. E, seppur con alterne fortune, Mario Balotelli ha sempre giocato con almeno uno di loro accanto. Al Manchester City? Aguero, Dzeko, Tevez, Santa Cruz, Jo.
SuperMario non sa fare il lavoro sporco da solo spalle alla porta. È un limite, vero. Ma se il mister chiedesse ad un terzino di fare la seconda punta, o ad un attaccante di fare il centrale di difesa, non commetterebbe forse un errore? Un allenatore non può prescindere dal conoscere il materiale umano che ha avanti, e l’unico ad aver capito che tipo di giocatore è Mario Balotelli, checché se ne dica, è stato Roberto Mancini. Solo lui ha capito che Balo sa sì incassare i colpi – troppo spesso lagnandosi ed andando giù, oppure rischiando di perdere la testa – ma ha bisogno di un compagno vicino a cui scaricare il pallone o con cui dialogare a breve distanza. Oppure di giocare faccia alla porta e lanciare la progressione per liberare il tiro, suo assoluto punto di forza. Ed allora Mancini gli ha sempre messo accanto un altro attaccante forte fisicamente (Ibrahimovic, Dzeko) oppure una o più seconde punte veloci e pericolose in inserimento (Suazo, Aguero, Tevez). Per sfruttare il potenziale offensivo del Balotelli tiratore o quello, non da sottovalutare, del Balotelli assistman: vi ricordate chi ha dato ad Aguero la palla dello scudetto del Manchester City nel 2012?
BOOM AL MILAN? C’ERA EL SHAARWAY - Si dirà: al Milan ha fatto benissimo al suo arrivo (12 reti in 13 presenze) a gennaio 2013. Vero, ma ha fatto altrettanto “male” quest’anno, con 18 gol in 41 partite. Il perché ha un nome e un cognome: Stephan El Shaarawy. Al momento dell’arrivo di Balotelli al Milan, c’era il Faraone in forma straordinaria. Un giocatore duttile e rapido, in grado tanto di essere letale in zona gol, tanto di fare il lavoro sporco defilato sull’esterno sinistro. E questo suo “bipolarismo” è stato la chiave del successo dei primi 6 mesi di Balotelli: El Shaarawy ha lasciato il suo posto al centro dell’attacco rossonero, ma è rimasto accanto al nuovo arrivo spaventando le difese avversarie e tagliandole in due con la sua velocità. Quando gli uomini da controllare per la difesa sono due – uno forte fisicamente ed uno imprendibile in velocità – i meccanismi saltano più facilmente. E non è un caso se il Faraone abbia praticamente smesso di segnare in corrispondenza dell’arrivo di Balotelli al Milan.
Allegri non lo ha capito, ed a ruota Seedorf: i due allenatori rossoneri si sono basati sui gol e non sul gioco di Mario, e gli hanno consegnato le chiavi e le responsabilità dell’attacco. Isolandolo in mezzo ai difensori avversari e di rado accompagnandolo con giocatori di movimento. Nell’ultima stagione, fuori El Shaarawy per infortunio, a via Turati prima e Casa Milan poi ci hanno provato con la delusione Niang, con il flop Matri, con l’abulico Robinho e praticamente mai con Pazzini, reduce anch’egli da una stagione non fortunata. I risultati sono stati sotto gli occhi di tutti. Mario Balotelli spalle alla porta, se non ha un riferimento immediato, è un attaccante dalle potenzialità più che dimezzate.
PRANDELLI, AVEVI PEPITO ROSSI… - Prandelli più di tutti avrebbe avuto la possibilità per sfruttarlo al meglio, con le punte o mezze punte che l’Italia del suo ciclo aveva a disposizione. Ma l’infortunio di Rossi – ed una scelta discutibile del ct azzurro – hanno tagliato fuori il compagno d’attacco ideale di Balotelli, quel Pepito veloce, tecnico e predisposto al sacrificio, che si è integrato alla perfezione col Bad Boy azzurro nei pochi scampoli di calcio che i due hanno mostrato assieme. Fatto fuori Rossi, anche Prandelli è rimasto accecato dalla mole fisica e non da quella di gioco di Balotelli in posizione di centravanti. Immobile poteva essere una buona soluzione, ma 45 minuti assieme nella partita della vita (in un’Italia mai costruita con quel modulo, se non in emergenza) non possono essere una risposta definitiva.
TALENTO SPRECATO, VA RIDIMENSIONATO E SFRUTTATO - Si è parlato tanto ed ancora si parlerà a lungo di Balotelli, uno che il suo talento di sicuro ha deciso di sprecarlo dietro comportamenti insofferenti ed una mancanza di spirito di sacrificio ben oltre i limiti dell’irritante. Il primo passo da fare è tirarlo giù dal piedistallo mediatico e calcistico. Il secondo, se si vuole puntare su di lui, è sfruttarlo per quelle che sono le sue doti, e non cucendogliene addosso di nuove. Se poi un giorno Mancini dovesse riuscire a riportarlo sotto la sua ala protettrice, al Galatasaray o chissà dove, non stupitevi troppo se dovesse ricominciare a fare il fenomeno. Mario Balotelli centravanti altro non è che il più grosso equivoco della storia calcistica italiana.
Francesco Guarino
@fraguarino