Lovecats: saggezza pop e lungimiranza nell’omonimo Ep d’esordio

Nel primo Ep da poco uscito, i laziali Lovecats dimostrano di padroneggiare la materia pop in funzione di una sostanza capace di andare ben oltre le apparenze

Lovecats 1

Va bene scrivere canzoni, ma farlo seriamente è un altro paio di maniche. Se hai voglia di vivere la vita musicale in lungo e in largo, puoi farlo in mille modi; se hai voglia di realizzare questo comune desiderio puntando a un tornaconto a lungo termine, la strada è una e una sola: venderti, né più né meno, non importa a chi.

Questa è la ragion d’essere del quoziente intellettivo popolare. Dopodiché c’è la realtà dei fatti. E la realtà dei fatti dice che, ormai, di musica non si vive più e che se vuoi farlo senza ricadere nella prostituzione di turno devi aver accumulato una buona dose di esperienza e maturità che ti salva la vita – e la faccia – facendo di te un musicista vero, perfettamente in grado di scrivere buone canzoni risultando gradevole ma, al contempo, capace di durare grazie alla consapevolezza di aver giocato carte di consapevolezza e maestria di settore nel segno della conoscenza dei mezzi, della loro storia e delle possibili implicazioni presenti e future.

Sono queste le senzazioni che emergono per prime e guidano l’ascolto dell’omonimo Ep d’esordio dei laziali Lovecats (Piero Meglio, Alessandro Saltarelli e Stefano Mancini, i quali vantano almeno un decennio di gavette e collaborazioni, tra cui spiccano esperienze al fianco di Riccardo Sinigallia e dell’ex Timoria Sasha Torrisi). Perché è proprio l’esperienza a giocare un ruolo fondamentale per un rodaggio individuale pluriennale che, qui e ora, si fa saggezza collettiva in funzione della conformazione di un prodotto fatto di scelte sonore orecchiabili ma importanti e delicate, dove l’ordine e la motivazione delle mosse stabilite è, se non tutto, una buona parte della battaglia.

Lovecats 2

Il sipario, certo, si apre su un’opera di media durata. Ma anche questo lascia emergere una cifra stilistica lungi dall’allontanarsi dagli obiettivi e dalle dimostrazioni di valore e sapienza in termini di talento compositivo. Quello proposto dai Lovecats è, infatti, un indie-pop-rock diretto, sorprendentemente capace di far presa sull’orecchio radiofonico ma non per questo meno sofisticato e stratificato. Il suono dei Lovecats attrae e invoglia a un discernimento ludico e trascinatore, certo, ma gioca anche contro certe dinamiche di ascolto passivo optando per alcune sottigliezze sonore che finiscono per direzionare l’attenzione su fronti diversi da quello puramente intrattenitore grazie a continui spunti di originalità e invenzione.

In Lovecats prevale senza dubbio uno spiccato gusto per la melodia, ma si procede anche sotto altre spoglie. Oltre al pop più semplice e orecchiabile, quindi, si fa strada anche un maturo sottobosco fatto di intelligenti incursioni nella maliziosità di groove avvolgenti (Mrs Moon), nei sotterfugi di cenni wave (After all these years) o di ammiccamenti ai militi del simil-soul (Change, The strongest), fino a toccare interessanti esperimenti vocali da crooner bonariamente posticcio e trasandato (3 miles).

Il tutto a dimostrare una notevole capacità di possedimento stilistico e di appartenenza a un genere mai del tutto fermo e chiuso in sé stesso, anzi suscettibile di variazione e ariosità, per questo sempre inteso come terreno di caccia per ulteriori passi in avanti e potenziali evoluzioni di scrittura ed esecuzione. Perciò l’attesa è rivolta, adesso, al banco di prova definitivo del documento sonoro di più lunga durata e di maggiore spazio dimostrativo.

Voto: 7

Stefano Gallone

@SteGallone

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