
Lombardia vieta libri gender nelle scuole: l’ignoranza della politica
Anche la Lombardia vieta i libri gender nelle scuole: secondo la Lega Nord si tratterebbe di libri che inculcano idee strane e pericolose
Aggiunto da Mariangela Campo il 12/10/2015.
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Tags: censura, LIBRI, Lombardia, scuola, studi di genere, teoria gender, Veneto
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Non bastava il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro a bandire dalle scuole i libri cosiddetti gender, di genere, ossia quelli che, nelle intenzioni di chi li scrive, dovrebbero insegnare ai bambini a non discriminare le minoranze in generale, tra cui anche gli omosessuali. No, ci si sono messi anche il segretario leghista Matteo Salvini e il governatore lombardo Roberto Maroni, i quali hanno detto sì ad una mozione che bandisce i libri di genere dalle scuole anche in Lombardia. Lo scorso 7 ottobre 2015 è stata infatti approvata in Consiglio Regionale la mozione, proposta dalla Lega Nord lo scorso 5 settembre, che chiede alla giunta di intervenire sulla circolazione dei libri gender nelle scuole, considerati «Un pericolo per i bambini». Contrari il M5S e il Pd, ma niente da fare: la Lombardia si unisce a quanti lottano contro la teoria gender nelle scuole, e Massimiliano Romeo, capogruppo del Carrocccio, spiega così la lotta lombarda: «(La teoria gender ndr) È quella secondo cui non si nasce maschi o femmine per questioni genetiche, ma si diventa uomini o donne per ragioni di natura culturale e ambientale. Tutto questo per noi non ha senso».
LA TEORIA GENDER NON ESISTE - Ora, se solo si fa una ricerca sul web riguardo a questa presunta teoria, si scopre che la «teoria gender» è una panzana bella e buona, perché non esiste alcuna teoria di genere ma, semmai, esistono studi di genere che sono tutt’altra cosa dalla pretesa assenza di una differenza sessuale biologica tra maschi e femmine – queste le parole del consigliere Riccardo De Corato (FdI): «Non si combatte la discriminazione insegnando ai bambini che non hanno una differenza sessuale o insegnando che il genere non c’entra nulla con la sessualità biologica e che possono scegliere liberamente tra dieci o più opportunità illustrate in un opuscolo patinato che si ritrovano sul banco» -: gli studi di genere, nati nel mondo anglosassone e americano nell’ambito deicultural studies - siamo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso – si sono poi sviluppati nel resto del mondo occidentale e rappresentano un approccio multidisciplinare che prende le mosse dai significati socio-culturali dei concetti di identità sessuale e identità di genere: questi studi partono dai movimenti femministi degli anni ’60 del Novecento e s’interessano soprattutto della condizione femminile nella società e di tutti i soggetti minoritari, compresi gli omosessuali.
Gli studi di genere si interrogano sulla nascita di determinate mentalità sviluppatesi in determinati periodi storici e contesti sociali – come la mentalità secondo cui un uomo sarebbe fisicamente più forte, più muscoloso di una donna, mentre questa sarebbe più fragile e aggraziata, definita anche stereotipo di genere -, sul rapporto tra individui e società e tra individui e cultura. In particolare, secondo gli studi di genere il sesso e il genere non rappresentano affatto le caratteristiche dell’essere uomo o donna: il sesso e il genere sono il prodotto della cultura umana attraverso cui la società definisce le differenze che esistono tra uomo e donna. In pratica, è come se ogni mattina recitassimo la nostra parte di uomo o donna, attraverso i nostri comportamenti, il nostro linguaggio, il nostro ruolo sociale: mettiamo in atto il nostro ruolo di genere. Ma come diceva Simone de Beauvoir «Non si nasce donna, si diventa» (Il secondo sesso, 1949). In parole povere, indipendentemente dalla differenza sessuale biologica tra maschio e femmina, il genere – non inteso come sessualità – non è innato ma si apprende a seconda del contesto – storico, sociale e culturale – in cui si cresce.

Alcune immagini tratte dall’albo illustrato “Nei panni di Zaff” (2005, Fatatrac) (www.iltrabiccolodeisogni.it)
IDEOLOGIE E STEREOTIPI - A questo proposito mi basterà citare la riflessione che Manuela Salvi, scrittrice per bambini e ragazzi molto amata – che tra l’altro ha scritto Nei panni di Zaff, 2005, uno dei libri banditi sia a Venezia che in Lombardia -, conduce sulle fiabe classiche che, per intenderci, non sono affatto bandite: «Chiunque decida di soffermarsi sui contenuti delle fiabe classiche – Cenerentola, La Sirenetta, La Bella Addormentata, Biancaneve, ecc. – potrà constatare che queste principesse sono esseri inutili, a cui si richiede bellezza, grazia e niente di più. I primi modelli femminili che noi offriamo ingenuamente alle nostre figlie sono di donne il cui unico scopo nella vita è trovare un principe da sposare. Nessuna di loro si interroga sul carattere di questo giovane che, a parte il cavallo bianco, non sembra mostrare particolari attrattive. Come se essere principi, cioè maschi, fosse a prescindere una garanzia. Come se essere belle e aggraziate fosse sufficiente ad affrontare la vita».
Il danno peggiore, continua la Salvi, è che queste favole oggi non vengono proposte nella loro versione originale, bensì «in una confezione nuova, che prevede il sesso come gadget in omaggio: rosa, glitterate, infiocchettate per essere destinate esclusivamente alle piccole lettrici». «Biancaneve e Cenerentola non si raccontano più ai bambini in generale prima della buonanotte, ma sono offerte alle bambine come precisi modelli comportamentali ed estetici (cioè come modelli identitari ndr). In vendita si trovano dei kit da principesse completi di scarpine di plastica trasparente con tacchi di tre centimetri. Il percorso che il marketing offre alle bambine in Italia è abbastanza chiaro: principessa, Winx (o Bratz), showgirl. Questi personaggi sono legati tra loro e rappresentano i nuovi stadi dell’evoluzione delle bambine. Il loro denominatore comune è la seduzione utilizzata come arma sociale e pilastro nella costruzione dell’identità personale (l’identità di genere di cui sopra ndr). Il messaggio comunicato? Se vuoi essere certa di esistere, assicurati di essere guardata. E nel frattempo, i bambini maschi vivono una vita parallela fatta per lo più di sport, mostri e videogiochi».
E conclude: «Tra le trasmissioni di Maria De Filippi e le imposizioni estetiche della moda, risulta evidente che nella visione di se stesse e del mondo le ragazze rispettino tutti gli stereotipi tradizionali (stereotipi di genere ndr). In un’età in cui si ha fame di modelli, è facile essere preda di chi ha tutto l’interesse a vendere delle maschere da indossare per essere accettati dal gruppo e sentirsi adeguati nella società» (Le fiabe classiche nella formazione dell’identità personale dell’individuo. Scrivere libri per ragazzi, Audino Editore, 2011).
IL DIRITTO ALLA DIVERSITA’ - Non resta altro da dire, se non che è preciso compito dei genitori, degli insegnanti e di quanti si occupano dell’educazione dei bambini e dei ragazzi, maschi e femmine, lasciare loro l’opportunità di sapere, di conoscere, di capire, leggendo tutto, soprattutto i libri banditi in Veneto e in Lombardia, senza travolgerli nelle nostre mentalità ristrette, intrise di stereotipi, di ideologie di adulti disadattati al mondo che ci circonda.
Mariangela Campo
@MariCampo81