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Di Giorgio Bassani non si può dire sia stato autore di capolavori, di gemme rare della letteratura italiana, che sia stato portavoce di grandi o estreme passioni. Le sue opere non hanno le pennellate decise e aggressive di Van Gogh, ma il delicato manierismo di Renoir, sebbene questo non significhi non sia stato capace di mettere in risalto, con maestria, piccole sfaccettature degli esseri umani.
Però di Bassani – ebreo di nascita – si può dire che mai abbandonò la lotta antifascista, che mai rinnegò le sue origini e che introdusse in Italia – dalle pagine di Botteghe Oscure – certa letteratura fino ad allora sconosciuta, oltre ad aver dato spazio ad alcuni italiani: Cassola, Soldati, Calvino, Pasolini e Attilio Bertolucci.
Il romanzo per cui Bassani è ricordato in tutto il mondo è di certo Il giardino dei Finzi-Contini, terzo libro del ciclo de Il romanzo di Ferrara, pubblicato nel 1962 e vincitore del premio Viareggio quello stesso anno.
I due personaggi principali sono il narratore – di cui si ignora l’identità per tutto il libro, ma che molti tendono a identificare con lo stesso Bassani – e Micól Finzi-Contini, giovane, bella e intelligente fanciulla figlia di una ricchissima famiglia dell’alta borghesia ferrarese.
La vicenda è ambientata quasi interamente tra le mura di cinta della magna domus, proprio nel giardino della famiglia Finzi-Contini che, come una sorta di giardino segreto, culla i turbamenti emotivi, politici e sociali della media e alta borghesia ebraica ferrarese.
Al centro della narrazione c’è la speciale amicizia tra il narratore e Micól, un’amicizia che è screziata dai colori della passione, dell’amore e della paura. Dallo stesso narratore veniamo a sapere dei sentimenti che nutre per la sua affascinante amica e della sua paura di mettere a repentaglio il loro rapporto di leale amicizia.
Pagina dopo pagina i due protagonisti, come i personaggi che li circondano, acquistano forma e consistenza: così emerge l’indole volitiva di Micól, la sua spiccata intelligenza, il continuo lavorio della sua mente – tanto da giungere a inventare un linguaggio di famiglia, il “finzi-continico” – la sua lungimiranza nel comprendere che presto la famiglia e le amicizie saranno travolte dalla Storia, indifferente alla volontà e alla storia degli individui.
E poi il narratore, terrorizzato dai suoi sentimenti, respinto quando decide di esternare la sua passione - e non in una sola occasione – un ragazzo come tanti, in una qualsiasi epoca storica, in un qualsiasi Paese del mondo.
Quello che è successo durante il Ventennio e la Seconda guerra mondiale è cosa ormai tristemente nota, così quello che ci offre Bassani è uno spaccato minuscolo di quell’Italia, un granello di vergogna, ma al contempo l’istantanea di un sentimento. Anche il destino dei Finzi-Contini e del narratore saranno segnati dalla Storia.
Tra le immagini più delicate ricordiamo la descrizione – nella prima parte del libro – del sabato al Tempio – la Sinagoga

Un ritratto di Giorgio Bassani
– dove l’autore è capace di trasmettere l’atmosfera, le dinamiche, talvolta gli odori, della religione probabilmente più odiata della storia dell’uomo.
In un’Italia che vedeva come una disgrazia l’essere nati ebrei, Il giardini dei Finzi-Contini fa comprendere, insieme all’orrore delle leggi razziali e delle deportazioni, come una delle poche disgrazie sia sfiorare la felicità, ma non toccarla mai, per incapacità, per impossibilità o per la crudeltà del genere umano.
Una curiosità. Nel 2009 sembra che sia stata individuata – anche grazie a un’intervista rilasciata poco prima di morire dallo stesso Bassani al quotidiano Il Resto del Carlino – la famiglia a cui Bassani si è ispirato per il suo Giardino: in un archivio nazista di Bad Arolsen – cittadina nella regione dell’Assia, in Germania – aperto dalla Croce Rossa nel 2008, gli studiosi hanno rinvenuto un fascicolo a carico di “Magrini Silvio”, o meglio, “Silvio Finzi-Magrini” come emerge da un’analisi dei documenti contenuti nel dossier. Nato nel 1881 a Ferrara, da Mosè e Fausta Artom, arrestato il 16 ottobre 1943 e deportato in Germania a causa della sua religione, numero di protocollo 598504. La famiglia Magrini viveva in via Borgo Leoni, 76 a Ferrara, il nucleo della comunità ebraica della città.
Per i più pigri. Non preoccupatevi, non dovete aspettare che esca il film,ci ha già pensato Vittorio De Sica nel lontano 1970, regalandoci il suo ennesimo capolavoro.
«Domandai perché le sembrasse tanto impossibile. Per infinite ragioni – rispose – la prima delle quali era che a pensar di far l’amore con me le riusciva altrettanto imbarazzante che se avesse pensato di farlo con il fratello, toh, con Alberto. Era vero: da bambina, aveva avuto per me un piccolo striscio: e chissà, forse era proprio questo che adesso la bloccava talmente nei miei riguardi. Io… io le stavo di fianco, capivo?, non già di fronte: mentre l’amore – così, almeno, se lo immaginava lei – era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda: uno sport crudele, feroce, ben più crudele e feroce del tennis!, da praticarsi senza esclusione di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d’animo e onestà di propositi».
(Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, 1962)
Francesca Penza