
Le proteste dell’Associazione Nazionale Magistrati
All’inaugurazione dell’anno giudiziario, i magistrati decidono di far sentire la propria voce
di Plinio Limata
Era stato preannunciato, ed è accaduto. I tradizionali due giorni di inaugurazione dell’Anno Giudiziario si aprono con polemiche e una palese protesta dell’ANM: sedie vuote al momento dell’intervento del rappresentante del Governo. Come motivi principali sono stati additati la riforma del processo breve, la riforma delle intercettazioni e i continui attacchi della politica alla magistratura. In segno di protesta, inoltre, i magistrati vestivano una toga rossa, tenendo tra le mani una copia della Costituzione. Alla fine delle varie cerimonie c’è stata, poi, la presentazione di un dossier, redatto dalla Giunta Esecutiva Centrale, volto all’elencare i motivi di disagio, consegnato al Presidente della Corte d’Appello.
Nel primo giorno, alla Corte della Cassazione, l’aula non viene abbandonata per il rispetto delle più alte cariche dello Stato (erano infatti presenti il Presidente Napolitano e il Premier Berlusconi) e dei doveri costituzionali di lealtà fra le istituzioni, ma a farsi sentire sono le dichiarazioni del Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Vitaliano Esposito, che ritiene non più tollerabili le tensioni ed i contrasti tra magistratura e politica e all’interno della magistratura stessa. Lo stesso PG apre alla riforma del processo breve, ma ritiene necessari una riforma e un potenziamento preventivi dell’intero sistema, per fare fronte ai numerosi problemi che si pongono ad ostacolo nell’amministrazione della giustizia, come ad esempio la carenza d’organico.
È nel secondo giorno, invece, che l’iniziativa dell’ANM fa sentire la propria voce. Da nord a sud le sedie vengono lasciate vuote al momento degli interventi, ma seppur presentata in maniera compatta dal Presidente stesso dell’Associazione, Luca Palamara, si registrano delle defezioni: Catanzaro, Messina, L’Aquila, Napoli e Reggio Calabria. I motivi sono vari: a Napoli sono i magistrati di “Magistratura Indipendente” a dissociarsi; a Messina, pur condividendo la protesta nazionale, le sedie non vengono abbandonate per dimostrare disponibilità al dialogo; a Reggio Calabra è, invece, il rispetto per la presenza della seconda carica dello Stato, il Presidente Schifani, a fermare la protesta, mentre a L’Aquila i magistrati, vestendo una toga nera in segno di lutto, rimangono in aula per l’intervento del Guardasigilli Alfano, ed il rispetto di un tribunale e di una popolazione piegati dal terremoto.
Chiamata in causa, la politica non si è fatta attendere per le sue reazioni. È stato ovviamente il Ministro Angelino Alfano a bollare la protesta come basata su critiche pregiudiziali, cieche e non credibili, sottolineando come alcuni magistrati si fossero dimostrati irrispettosi del Parlamento, unica istituzione legittimata a fare le leggi. Sempre secondo il Ministro le proteste non trovano alcuna giustificazione se non nell’apertura della campagna elettorale in vista del rinnovo del Consiglio Superiore della Magistratura e della volontà di alcune parti di trovare visibilità.
Nell’agone politico le reazioni si sono distinte logicamente a seconda del campo di appartenenza. Se Bondi, coordinatore nazionale del PDL, ha definito la protesta come l’ennesimo tentativo di sovvertire l’ordine istituzionale, costituzionale e democratico, dall’opposizione si sono alzate le voci dell’Italia dei Valori che ritiene giusta la mossa dei magistrati di fronte a leggi vergognose ed ingiuste. Il segretario del PD, Bersani, ha lanciato, invece, una provocazione, con l’invito a Berlusconi a dimostrare quanto sostiene, e cioè essere un grande statista, lasciando da parte i suoi problemi personali, ed iniziare così ad occuparsi di quelli del paese.
Ancora una volta, la lettura degli eventi si distingue a seconda del punto di vista. È bene forse seguire l’invito del Presidente della Repubblica, all’ascolto reciproco per trovare una linea comune, che rispettosa degli equilibri istituzionali, possa dar adito alla condivisa volontà di riformare la giustizia, secondo le esigenze del bene comune.