Lavoro: penalizzati i ragazzi, il 60 % dei disoccupati ha meno di 34 anni

In Italia le conseguenze della crisi economica le pagano i giovani

di Chiara Campanella

Roma-  In Italia le giovani generazioni sono quelle che pagano di più la crisi economica. A stabilirlo è l’ OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Secondo le stime ufficiali, durante l’ultimo anno, nel nostro Paese, tutte le perdite nette di posti si concentrano nel bacino degli occupati atipici e temporanei: chi ha meno di 35 anni è in netta maggioranza e quasi il 60% della popolazione dei precari è nato dopo il ’74. Infatti,  su 1,87 milioni di senza-lavoro italiani, oltre un milione di persone hanno meno di 34 anni; solo 840 mila ne hanno di più. Si tratta di un dato che è il contrario esatto di ciò che ci si aspetterebbe dalla demografia: gli adulti e gli anziani della fascia 35- 64 anni sono molto più numerosi (25,5 milioni). Invece, il popolo dei nati fra il ’74 e il ’94 è di appena 14 milioni, eppure fornisce comunque il grosso dei disoccupati.

Questa tendenza, presente da tempo, nella recessione non ha fatto che radicarsi. Nel 2009 la disoccupazione nella fascia 15-24 anni è salita del 4,2%, quella nella fascia 25-34 dell’ 1,3% e quella nella fascia 35-64 invece di appena 0,9%. Il motivo? Semplice e ovvio: sono i giovani le persone più facili da licenziare alle prime difficoltà.  Tuttavia, nella popolazione residente in Italia compresa fra 35 e i 64 anni, paradossalmente  il tasso di occupazione è addirittura salito dello 0,9% fra il 2008 e il 2009.

È un mercato del lavoro spezzato in due. I dati dell’Istat ne confermano le caratteristiche: quasi un lavoratore su quattro sotto i 35 anni ha un contratto temporaneo, mentre sopra i 35 anni lo ha solo il 7,7% degli assunti. Malgrado la crisi, per gli over 35, paradossalmente il numero dei lavoratori con un contratto permanente è addirittura cresciuto (più 2,4%). Si conferma dunque la storia dei dipendenti permanenti diminuiti fra i giovani e cresciuti fra gli adulti e anziani. Forse viene da pensare che in Italia, sembra pesare di più la preferenza generale per una “società anziana”?  Probabile.

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