La vera unità d’Italia sta nel suo paesaggio! Parola di Salvatore Settis

 

La copertina del libro (http4.bp.blogspot.com)

«Il paesaggio è il grande malato d’Italia». Questo il referto del professor Settis, non medico del corpo, bensì, in questo caso specifico, analista dei comportamenti di una società (in)civile che è stata in meno di due secoli capace di distruggere quanto di più bello l’Italia possedeva: il suo splendido ed unico paesaggio.
Induce ad usare l’imperfetto la spietata analisi dell’autore, perché fin dall’esordio appare chiaro che ciò che è stato orgoglio dei nostri antenati, una magica integrazione tra l’ambiente naturale e l’intervento su questo dell’attività umana, pare essersi rotto per sempre.

Settis illustra fatti drammatici sotto gli occhi di tutti, ma di cui nessuno sembra accorgersi, a partire dall’urban sprawl, un’urbanizzazione generalizzata del suolo che ha generato periferie senza vita e senza anima, quartieri dormitorio: nel Paese che vanta centri storici invidiati dal mondo intero, costruiti quando era chiaro che la vita quotidiana dei cittadini necessitava di una quantità adeguata di servizi, il territorio è oggi saccheggiato dalla costruzione di aree abitate dove non ci sono negozi (ma solo alienanti centri commerciali), non c’è vita o scambio sociale, non ci sono aree di aggregazione.
In pochi paragrafi si spiegano alcuni dei motivi per cui tutto ciò è reso possibile. Inutile illudersi che la causa primaria sia l’assenza di scrupoli dei palazzinari: è un colpo dritto dritto in mezzo al petto leggere come sia invece, spesso, la nostra legislazione a permettere e incentivare lo scempio del paesaggio. Condoni, piani casa e licenze edilizie sono solo alcuni degli strumenti con cui governi di destra e sinistra, nel corso degli anni, hanno provveduto a devastare i litorali, le aree boschive e collinari, le pianure.
Ma perché si dovrebbe svendere il territorio al miglior offerente? Ecco un esempio.
Gli oneri di urbanizzazione, versati al comune da chi chiede e ottiene di poter costruire, sono da tempo non più vincolati ad una spesa nelle stesse aree di nuova costruzione – per portarvi i servizi necessari – ma fonte d’entrata reinvestibile in qualunque voce del bilancio. Senza essere geni dell’economia è facile comprendere che, privati dei proventi dell’Ici, i comuni debbano battere cassa altrove: e dove è più facile se non nelle tasche di imprenditori del cemento, disposti a pagare fior di quattrini pur di edificare migliaia di metri cubi che centuplicheranno il loro valore immessi sul mercato immobiliare? E qui si dovrebbe entrare nel merito, e Settis lo fa, della «bolla immobiliare» che, esplosa negli States, ha gettato le basi della crisi mondiale: l’Italia ne è sull’orlo, mostrandosi maestra nel seguire il modello (illusorio) del sogno americano.
Eppure non è sempre stato così. C’è stata un’Italia dove il rapporto uomo-ambiente che lo circonda, pur controverso e conflittuale, si basava su un rigido equilibrio e soprattutto sull’idea indiscussa che esistesse un «bene pubblico», un interesse superiore a quello privato e una necessità di difenderlo anche contro l’interesse del singolo. Davanti a quanto succede oggi pare impossibile, eppure c’è stata un’Italia, quando ancora Stato unitario non era, ma agglomerato di realtà politiche eterogenee (dallo Stato pontificio al Granducato di Toscana), in cui sono state elaborate le più raffinate, efficaci ed avanguardistiche strategie per tutelare sia i beni artistici, che quelli architettonici e paesaggistici. Quello che il cittadino italiano ‘contemporaneo’, nato con il 1861, ha ereditato dai propri padri è stato un sistema di valori che, per secoli, aveva permesso non solo di mantenere il paesaggio armonico nell’alternarsi di città e campagna, di aree edificate e zone libere, ma perfino di trasmettere ai turisti stranieri, che nel Paese venivano per il  Gran Tour, la percezione l’Italia già come qualcosa di unitario, per l’aria che vi si respirava, per il suo essere perfetta fusione di cultura e natura.
Che cosa si è rotto? E quando?
Settis, districandosi tra tecnicismi e le maglie di una rete di leggi e decreti legge, racconta come è nata l’attuale legislazione sui beni culturali e parimenti quella sui beni paesaggistici, insistendo molto proprio sui termini, sempre diversi, usati per definire gli oggetti della tutela: territorio, ambiente e paesaggio. Possono sembrare sinonimi, per molti naturalmente lo sono o dovrebbero esserlo, eppure nella storia legislativa del nostro Paese sono quanto di più diverso e discusso di possa immaginare. Settis parla proprio di un’Italia che, in questo settore, si è fatta in tre, separando non solo i sostantivi come se indicassero nella sostanza realtà diverse, ma riuscendo anche a delegarne la cura, la tutela e la gestione ad enti ed ad amministrazioni diverse.

Il professor Salvatore Settis (http://lanuovasardegna.gelocal.it)

 
Ecco la seconda pugnalata in pieno petto. Non solo il paesaggio è massacrato e soffocato soprattutto a causa di una legislazione poco chiara sull’argomento, ma cade a pezzi ogni giorno sotto il colpi del «fuoco amico», ovvero i conflitti tra Stato, Regioni, Province e Comuni, ognuno in qualche misura coinvolto nella gestione ora dei piani urbanistici, ora dei piani territoriali, ora di quelli ambientali e ognuno deciso a non ‘mollare’ la propria fetta. Come se non fossero le facce di una stessa medaglia, ma ambiti separabili in compartimenti stagni e come se tutti non avessero l’obbligo di remare in una sola direzione: quella del bene comune.
Anche in questo campo paradossalmente siamo però eredi di un qualcosa (e di un qualcuno) che con lungimiranza aveva pensato a tenere questi ambiti uniti: la Costituzione e i padri costituenti. Nell’articolo 9 essi hanno sintetizzato e reso uno ciò che con il tempo si è sempre di più frammentato, a partire dall’idea che debba essere lo Stato, cioè noi, i cittadini, ad essere garante primario e unico di un bene che è di tutti: il mondo in cui viviamo. Insomma, basterebbe tornare ad applicare la Costituzione, così com’è, senza cambiarla o ‘interpretarla’, per avere la chiave di risoluzione dell’intricato groviglio legislativo. Sarebbe sufficiente volerlo, volerlo davvero, da parte di chi è al potere, mettendo al primo posto l’interesse della collettività e non dell’individuo.
Un compito arduo, una missione difficile. Ma possibile, per lasciare ai nostri figli, e ai figli dei nostri figli, ciò che per secoli chi è venuto prima di noi ha saputo conservale: non solo un bel paesaggio, ma un ambiente sano e salubre dove nascere, crescere, vivere.
Non è troppo tardi. Potrebbe esserlo, lo sarà se non si prende coscienza di tutto ciò.
Leggere Paesaggio, costituzione, cemento è il primo passo.

Laura Dabbene

Foto preview via: www.cittadinirovereto.it;

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