
La “riforma psichiatrica” di Franco Basaglia
Dalla chiusura dei manicomi al boom della psichiatria: la storia dopo la “Legge 180″
di Claudia Landolfi
Si è conclusa ieri la mini serie “C’era una volta la città dei matti”, mandata in onda su Rai Uno e diretta dal regista, Marco Turco. La storia, narrata sotto forma di fiction, ha presentato l’importante vicenda di Franco Basaglia e della dura battaglia che gravita intorno alla lotta per la chiusura dei manicomi in Italia.
La 180, meglio conosciuta come Legge Basaglia, venne approvata in Parlamento il 13 maggio 1978 e, nonostante sia stata oggetto di numerose discussioni e verifiche, è ancora oggi la norma quadro che regola l’assistenza psichiatrica in Italia.
La “Riforma” entra a pieno titolo negli anni caldi della contestazione ed è inutile negare come anche l’ambito degli studi sulla mente umana abbiano risentito di quel clima sociale. Più in generale, gli anni 70, sono gli “anni della coscienza”, non solo intesa come di tipo sociale, ma come scoperta e conoscenza del proprio io. L’identità non è solo una parola da manuale, ma la base della propria consapevolezza, uno strumento di identificazione nella collocazione della realtà. È in questo senso che la psichiatria assume un nuovo ruolo, chiave di lettura di un “sé sociale e plurimo”, uscendo così dal suo contesto circostanziale, medico e accademico, e diventando questione pubblica.
Si vengono cosi configurando nuove linee d’interesse che apriranno la materia a nuove sfide e orizzonti da raggiungere. Se la psichiatria non è più ricovero degli emarginati, ma aspetto della società e per la società, essa deve necessariamente aprire le sue porte, rinnovandosi sotto il profilo istituzionale, decisamente troppo arretrato per far fronte a tutte le nuove esigenze. Ecco quindi come sotto le spinte di un interesse allargato e partecipato, anche lo studio sulle patologie della mente umana rientra in quel grande processo di revisione e contestazione che coinvolge l’intero ventennio dagli anni sessanta ai settanta.
Sembra quanto meno onesto cercare di leggere il fenomeno Basaglia all’interno di una cronologia storiografica. Con questo non si vuole affatto sminuire la portata dell’evento, che ebbe importanti e profonde conseguenze nell’approccio nei confronti della malattia e del malato di mente.
Di fatto, agli internati veniva negata un’identità sociale e, privati di qualsiasi possibilità di riscatto, non restava che alternativa di una reclusione a vita. L’importante legge impugnata da Basaglia, oltre quindi ad aver riorganizzato l’assetto dell’assistenza psichiatrica, ha rivoluzionato l’idea e la concezione che gravitava intorno alla malattia mentale e al malato, troppo spesso assoggettato all’etichetta comune di folle, o ancor peggio di pazzo. Restituire una concezione umana a quelle persone che soffrono di disturbi psichiatrici è forse stato il più grande salto compiuto nella storia della disciplina.
Ancor prima di parlare di “riforma psichiatrica”, sarebbe forse giusto indicare l’importanza dell’impatto che tutta la battaglia ebbe sull’opinione pubblica e sulla mentalità delle genti di quel periodo. In questo senso, la socializzazione della “malattia mentale” ha avuto il suo successo, sconfiggendo retaggi ottocenteschi e atroci superstizioni costruite intorno ai soggetti malati.
Oggi, per fortuna, siamo ben lontani da quelle antiche credenze e, quell’alone intriso di mistero e paura verso chi soffre disturbi di questo genere, si è ormai assopito rientrando in una concezione del normale.
E normale appare oggi rivolgersi a specialisti della materia nel caso in cui sé ne senta il bisogno. La domanda di persone che si recano da questi dottori della mente è cresciuta a dismisura e, con essa, anche le diverse settorializzazioni del mestiere. Sessuologo, psichiatra, terapeuta di coppia, psicologo: sembra che il tempo abbia portato alla luce un’infinità di disturbi un tempo completamente ignorati. Si finisce così da un professionista come una volta ci si trovava davanti al confessionale.
Ma la “rivoluzione psichiatrica” non è solo una “rivoluzione del sociale” che affonda nelle relazioni tra persone e, la grande confusione che regna oggi in questa branca della medicina, sta mostrando le conseguenze. Nonostante i buoni auspici di Basaglia, siamo purtroppo ancora ben lontani dal trovare soluzioni efficaci per combattere queste malattie. Anche se è stato spinto l’acceleratore sull’importanza della terapia attraverso l’uso della parola, il rimedio più immediato, e utilizzato dai dottori stessi, spesso appare il farmaco. Questi medicinali vengono distribuiti a volte con troppa leggerezza; a volte sono l’unica strada percorribile. La socializzazione ha portato con sé ad un utilizzo smoderato di questi rimedi, alle volte del tutto superflui per casi più lievi.
Sebbene non si possa negare che la psichiatria abbia compiuto importanti passi avanti, di fronte a casi più gravi si trova ancora a brancolare nel buio. Malattie quali schizofrenia e depressione, con tutte le sue varianti, sono ancora dei “tabù” della disciplina. In casi estremi, il TSO, regime di ricovero coatto, per trattamento sanitario obbligatorio, rimane l’unica via percorribile, e la sperimentazione su determinate patologie è ancora del tutto aperta. Spesso si riprendono in mano i vecchi e rudimentali metodi, ancora in voga in determinate strutture, quali il TEC (generalmente chiamato elettroshock), e nuovi farmaci che però non risultano essere poi tanto meno invasivi.
In questo panorama di confusione e disorganizzazione possiamo concludere dicendo che il sociale e mentale sono due ambiti ben separati, e per quanto l’uno possa agevolare l’altro, non sarà col primo che si troverà rimedio al secondo.