
La lettera di Celli, fuga d’ipocrisia?
Il direttore dell’Università Luiss di Roma scrive una lettera al figlio dalle pagine di Repubblica per esortarlo a scappare all’estero alla ricerca di meritocrazia e valore. Una predica tanto toccante quanto ipocrita
di Silvia Nosenzo
“Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio”.
Con queste parole inizia la lettera che un padre scrive al figlio e che almeno ottocento pagine web e non si sa quanta carta stampata hanno riportato e commentato. Una lettera accorata, commovente, che immediatamente prende allo stomaco. Ma il “buon padre” in questione è Pier Luigi Celli, direttore dell’Università Luiss di Roma.
Facciamo allora il punto: questa lettera tanto toccante, pubblicata dal quotidiano Repubblica, colpisce nel vivo migliaia di giovani che ritrovano nelle parole di Celli le loro aspettative deluse. Eppure, se io volessi scrivere a mio figlio, non lo farei dalle pagine di Repubblica. Perciò, più che una lettera accorata, potrebbe sembrare un artificio retorico, una riflessione anche un po’ scontata, o anche uno stratagemma per vendere un suo nuovo libro o per catturare l’attenzione dei media sulla Luiss o su qualche altra iniziativa. Il dubbio è più che mai lecito.
Ma guardiamone il lato positivo: quello di Celli è un atto di denuncia della situazione italiana, una provocazione che sta scuotendo l’opinion pubblica, un segno molto importante, soprattutto perché giunge dai vertici universitari.
Eppure, chi è il mittente? Celli è il direttore della Luiss, ben nota università privata romana, dove ai colloqui di selezione, prima di considerare il tuo curriculum e le tue attitudini, si premurano di chiederti chi siano i tuoi genitori e che mestiere facciano… Questo perché vogliono testare la meritocrazia dei genitori, sperando che i figli abbiano gli stessi geni paterni? Forse, pensandoci bene, la predica viene dal pulpito sbagliato… Forse è un discorso un po’ manipolatorio nell’ottica natalizia dei buoni sentimenti e del “siamo tutti più buoni”.
Ma l’amarezza più grande è sentire un padre che consiglia al figlio di scappare, di arrendersi. Una soluzione troppo comoda, un modo per nascondersi e scaricare le colpe del fallimento italiano sugli altri. Se l’Italia è in questo stato è anche colpa della generazione di dirigenti come Celli, che invece di suggerir la fuga al figlio, dovrebbero assumersi le proprie responsabilità, ammettere i propri fallimenti e lasciare il posto alle nuove generazioni affinché producano cambiamento.
E poi, Dottor Celli, chi non può permettersi di mandare i figli all’estero, che comunque non è il paradiso terrestre, cosa dovrebbe fare?
Al seguente link potete vedere il servizio realizzato da UniromaTV dal titolo “Non siamo bamboccioni, ma bit generation”
http://www.uniroma.tv/?id_video=14937
Ufficio Stampa di Uniroma.TV
info@uniroma.tv
http://www.uniroma.tv