L’arte della tortura negli USA di Bush

I Physicians For Human Rights (medici per i diritti umani), hanno stilato un rapporto in cui accusano alcuni loro colleghi di aver effettuato esperimenti su detenuti sospettati di terrorismo. I test da loro eseguiti sono stati considerati, dalle associazioni impegnate nella salvaguardia dei diritti umani, illegali e immorali.

di Sabina Sestu

Waterboarding, pratica che simula l'annegamento, considerata una forma di tortura

Il terrorismo si combatte con la tortura. La Cia utilizza la pratica del waterboarding e la privazione di sonno forzato e prolungato, tra le altre, per ottenere confessioni da parte di detenuti sospettati di appartenere ad associazioni di stampo terroristico. Il tutto condito da test effettuati da medici appartenenti alla scuola mengeliana. I dottori in questione avrebbero monitorato i detenuti mentre venivano sottoposti al waterboarding, ossia la tecnica di tortura che simula l’annegamento dell’interrogato, per testarne la resistenza e verificare i limiti massimi a cui si possono praticare le torture. Stesso tipo di test e stessa verifica dei risultati per quanto riguarda la privazione del sonno.

Ma le associazioni per la tutela dei diritti umani americane non ci stanno e chiedono alla Casa Bianca di aprire un’inchiesta. La richiesta è partita da un rapporto stilato dai Physicians For Human Rights (medici per i diritti umani) basato su documenti desecretati. Nathaniel Raymond, l’autore della relazione, afferma che i documenti desecretati dovrebbero essere esaminati sotto il profilo legale e far ricorso al codice di Norimberga, la raccolta di norme stilata subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale per giudicare i terribili esperimenti compiuti dai nazisti.

Feroce la reazione degli ex amministratori del governo Bush. Karl Rove, ex consigliere di George Bush, ha infatti difeso le controverse forme di interrogatorio, in quanto, secondo lui, avrebbero aiutato a prevenire attacchi terroristici. «Sono orgoglioso che gli USA hanno usato tecniche – ha dichiarato Rove pomposamente – che hanno fermato la volontà dei terroristi». Ha anche sostenuto che il waterboarding non dovrebbe essere considerato tortura, confermando che è una pratica ricorrente fra i militari statunitensi i quali sono regolarmente addestrati a compierla. «Le confessioni che si sono riuscite ad ottenere con tali pratiche – ha sostenuto Rove – hanno aiutato a prevenire i piani terroristici contro Londra, Los Angeles e altri obiettivi».

Dick Cheney, sostenitore dei metodi di interrogatorio utilizzati dalla Cia

Anche Dick Cheney, ex vice di Bush, concorda sulla liceità delle tecniche di “interrogatorio” utilizzate sui sospettati di terrorismo e critica la decisione di Obama di indagare sulla legalità degli interrogatori della Cia. Cheney ha esternato anche i suoi dubbi «sulla capacità dell’attuale amministrazione di garantire la sicurezza del paese». La Casa Bianca non fa attendere la sua risposta ai propri delatori: «Quella di espandere l’inchiesta non è stata un’iniziativa della Casa Bianca, - ha risposto un funzionario dell’amministrazione - è stata una scelta del ministro della Difesa Eric H. Holder Jr., che deve fare quello che crede giusto nell’interesse della giustizia».

L’ex vice presidente americano continua a difendere l’operato della Cia nonostante le verità raccapriccianti che stanno emergendo dai 109 fogli, 36 dei quali ancora coperti da omissis, che riportano le procedure degli interrogatori ai presunti terroristi. Cheney aveva chiesto da tempo di rendere pubbliche almeno due appunti. In uno dei due memo, datato 2 giugno 2005, è citata la risposta data a un gruppo di Senatori repubblicani che avevano proposto una nuova legge che vietasse di praticare sui detenuti, durante gli interrogatori «trattamenti crudeli, inumani o degradanti». La proposta venne fermata affermando che le confessioni ottenute durante gli interrogatori vengono definite «uno dei pilastri degli sforzi antiterroristici degli Stati Uniti». Nel secondo appunto erano state annottate le dichiarazioni rilasciate da Khalid Sheik Mohammed, sospettato di essere un membro di Al Quaeda, che fu sottoposto per ben 183 volte alla pratica di waterboarding.

Khalid Sheik Mohammed, ha subito 183 volte il waterboarding

E mentre negli Usa si cerca di far chiarezza sulla liceità o meno delle pratiche di tortura, l’Italia respinge l’invito dell’Onu di introdurre nell’ordinamento penale il reato di tortura. E pensare che era un impegno preso a livello internazionale oltre vent’anni fa. Un no che arriva dopo pochi mesi dalle sentenze di condanna sulle nostre forze di polizia riguardo ai fatti di Genova del 2001. Nel processo per i maltrattamenti sui detenuti nella caserma di Bolzanetto, infatti, si è fatto esplicito riferimento alla tortura, ma le condanne alle forze dell’ordine ci sono state per figure di reato alternative.

Insomma mentre gli altri paesi democratici del mondo cercano di evolversi verso forme di convivenza sempre più civile, nel nostro paese pare ci sia un’involuzione autoritaria che ci relega in un passato obsoleto.

Foto: www.mirror.co.uk; www.datingjesus.files.wordpress.com; www.jimdiamond.files.wordpress.com; www.scrapetv.com

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