
Intervista a Massimo Fini: ‘La squalifica della Curva Sud è grottesca’
Trovare una parola sola che definisca Massimo Fini è difficile. Anticonformista? Ma come lo stesso Massimo Fini insegna non c’è niente di più conformista dell’anticonformismo. Siccome ha scritto un libro intitolato Elogio della guerra qualcuno potrebbe prendere Massimo Fini per un guerrafondaio, ma è stato uno dei più forti oppositori alla guerra all’Afghanistan (e non solo). Forse l’unica parola adatta per descrivere Massimo Fini è “giornalista”. Un giornalista con un punto di vista sempre diverso rispetto agli altri. E anche in quest’intervista dimostra di non aver perso il vizio di difendere quelle che qualcuno potrebbe definire cause perse.
Massimo Fini, quando cercavo di prepararmi le domande da farle mi sono trovato in difficoltà perché lei si è occupato di moltissime tematiche: politica nazionale, politica internazionale, storia, filosofia, calcio. Lei quale di queste tematiche sente più sua?
A me interessano le storie degli uomini. Facendo il giornalista, di politica “politicante” non ho mai parlato, casomai di metapolitica. Quindi non c’è una tematica preferita, c’è un interesse per l’uomo. Una cosa che mi differenzia molto da Travaglio, che è bravissimo, è che lui non vede l’uomo. A me interessa prima l’uomo che la legge.
Lei nell’ottobre scorso scrisse che l’unica possibilità di un’ulteriore espansione dell’Isis era verso Damasco. Oggi l’Isis è proprio alle porte di Damasco. Se la sente di fare un’altra previsione sulle azioni future dell’Isis?
Certamente l’Isis porterà la guerra in Occidente e non certo con un esercito ma nelle forme degli attentati da cui è quasi impossibile difendersi perché gli obiettivi sono infiniti. Le cellule sparse sul territorio europeo, e in parte anche americano, sono tantissime.
In Sottomissione Michel Houellebecq ha immaginato un futuro prossimo in cui in Francia viene eletto un Presidente musulmano. Il 2 aprile l’agenzia Agi riportava che nel 2070 nel mondo probabilmente ci saranno più musulmani che cristiani. Forse la storia dirà che Houellebecq è stato un profeta?
Mi ha interessato molto quel libro. Innanzitutto perché fa capire qual’è la mentalità di questa gente. Certamente la demografia è un fatto decisivo, sia nel senso dei numeri delle persone sia per l’età. L’età media degli iraniani è 24-25 anni, dei tunisini è 32,5 anni. Questi che combattono con l’Isis sono tutti giovanissimi. Ma credo che la debolezza più forte dell’occidente non sia tanto nella capacità dei guerrieri di al-Baghdadi ma nel vuoto di valori dell’occidente. In questo penso che Houellebecq abbia centrato l’obiettivo.
Per Charlie Hebdo si è organizzata una marcia a cui hanno partecipato anche dei capi di Stato. Per i cristiani uccisi in Kenya non si è fatto nulla. Secondo lei da cosa dipende questa differenza?
Sono stati colpiti dei giornalisti per cui è chiaro che l’impatto emotivo era maggiore. Detto questo sarebbe più interessante capire perché in Kenya è avvenuto quello che è avvenuto. Bisogna partire un po’ da lontano. Negli anni ’90, dopo la caduta di Siad Barre, la Somalia era contesa tra i cosiddetti signori della guerra – capi tribali che assassinavo e stupravano – e gli americani che non riuscirono a sconfiggere i signori della guerra. Ad un certo punto c’è stata una reazione delle cosiddette corti islamiche somale che dopo 2-3 anni di guerra hanno cacciato i signori della guerra e hanno riportato in Somalia la legge e l’ordine, seppur una legge dura come la shari’ah, la quale però non è del tutto estranea da quella popolazione. La cosa non andava bene agli americani che hanno fatto intervenire in Somalia – oltre ad intervenire loro stessi con l’aviazione – Etiopia e Kenya. Alcune di queste corti islamiche, dopo che è nato l’Isis, ne hanno copiato le modalità ed è per questo che è successa la strage degli studenti. Se avessimo lasciato che la Somalia si determinasse da sola tutto questo non sarebbe successo.
Lei ha detto che se potesse vorrebbe fare un’intervista al Mullah Omar. Cosa vorrebbe chiedergli?
Gli chiederei perché ha proibito il gioco degli aquiloni che è un antico gioco afgano. Una risposta indiretta è che in Afghanistan ci sono già troppi storpi e per giocare con gli aquiloni bisogna salire sui tetti delle case e si potrebbe cadere.
Dopo gli attentati di Parigi del gennaio scorso ogni volta che c’è una strage scatta la solidarietà sotto la forma del “Ju Suis”. Lei che “Je Suis” si sente?
Je suis Massimo Fini. Io ho creato scandalo a Piazza Pulita perché ho condiviso quello che ha detto Coulibaly (uno degli attentatori di Parigi, nda) e cioè: “Voi ci attaccate e non potete pretendere che non vi rispondiamo. Chi credete di essere i padroni della nostra terra e di farne quello che volete? Questo non ve lo permettiamo”. A me sembra assolutamente ineccepibile. Quello che per me è molto respingente è il trattamento dei prigionieri. Anche i talebani hanno fatto prigionieri ma hanno poi detto di essere stati trattati con rispetto e, per quello che riguarda le donne, con attenzione alle esigenze femminili. Sono due culture completamente diverse.
Quando Papa Francesco, alle sue prime uscite pubbliche, disse: «Il denaro deve servire e non governare» e che il «capitalismo selvaggio ha insegnato la logica del profitto ad ogni costo, del dare per ottenere, dello sfruttamento senza guardare alle persone» io pensavo che lei, un antimoderno doc, avrebbe apprezzato. Invece ha criticato Papa Francesco e lo ha anche definito un «piacione». Perché?
L’umiltà di questo Papa è sincera solo che i media l’hanno enfatizzata a tal punto da farla diventare odiosa. Dopodichè correggo il mio giudizio perché alcuni valori, che sono anche i miei, lui li propaganda, li espone. Ritornando all’Afghanistan, durante la guerra sono stati uccisi circa 160.000 civili. Non ho mai sentito un Papa – Wojtyla, Ratzinger, Francesco – che abbia speso una parola per loro perché non sono arabi, non sono ebrei, non sono cristiani e quindi sono carne da macello.
Quando Berlusconi nel 2009 venne ferito l’onorevole Cicchitto diede la colpa a Travaglio, Santoro e Di Pietro per la loro presunta campagna d’odio contro il Cavaliere. In riferimento all’uccisione del giudice Ciampi, usando lo stesso ragionamento si può dire che i mandanti morali sono i politici che hanno insultato la magistratura per anni?
Il ragionamento non sta in piedi né con Berlusconi né con questo giudice perché così tutti sarebbero mandanti di tutto. Io ho il diritto di odiare chi mi pare.
Il professor Campi ha scritto che la corsa sul carro del vincitore Matteo Renzi fa impallidire quella che avvenne a suo tempo nei confronti di Mussolini. E ha aggiunto che tanto conformismo nella storia italiana non ha mai portato bene. Condivide le parole del professore e secondo lei quanto ci vorrà prima che i giornali e chi fa opinione pubblica comincino a scaricare Renzi?
Il paragone non è fattibile. Mussolini aveva in testa un’idea di nazione e di paese e cercò con una certa coerenza di realizzarlo con i fatti e non con le parole. Qual è il progetto politico di Renzi? Io non riesco a capirlo. È un rappresentante della vecchia Repubblica soltanto che è giovane. Non c’è niente di nuovo in Renzi.
Cosa pensa della squalifica della Curva Sud per aver esposto uno striscione in cui si accusava la madre di Ciro Esposito di lucrare sulla morte del figlio?
Queste sono cose grottesche. Allo stadio si va per sfogarsi ed è positivo. Tutte le culture che ci hanno preceduto sapevano che l’aggressività va canalizzata e questo serve a stemperare le tensioni che si creano dentro la comunità. Se tu non permetti ai ragazzi di sfogarsi in questo modo – che visto che parliamo di scritte è totalmente innocente – poi la violenza vera la compiranno altrove.
Quindi secondo lei la giustizia sportiva ha sbagliato a squalificare la Sud?
Certo, ha sbagliato a squalificare la Sud come ha sbagliato a squalificare altre curve. Lo stadio è una specie di spazio libero, se non si arriva alle coltellate si deve lasciar stare.
Forse è la mia fede calcistica che parla, ma a me ha dato fastidio il fatto che, ad esempio, per gli striscioni su Superga si fecero le multe mentre alla Roma hanno chiuso la curva.
Questo fa parte delle ingiustizie della cosiddetta giustizia sportiva ma non è molto rilevante. La cosa che deve essere chiarita è che allo stadio uno fa il tifo come vuole e questo gli deve essere permesso.
Che consigli darebbe ad un giovane che vuole fare il giornalista?
Di non farlo. Perché il mestiere è totalmente cambiato ed è diventato molto meno divertente. E rischi di perdere del tempo prezioso arrivando a trent’anni senza aver portato a casa nulla. All’epoca nostra era molto diverso. Se tu lavoravi 3-4 anni per una testata giornalista poi venivi assunto. Oggi fanno lavorare dei ragazzi, fanno fare loro anche delle inchieste importanti, poi però quando chiedono di essere assunti prendono un altro. Oggi il merito conta pochissimo, contano i legami politici, tutte cose che sappiamo.
Giacomo Cangi
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