Integrazione: Jamila e le donne dell’Islam senza diritti

Jamila

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Bella cosa l’integrazione, quella fusione di individui appartenenti a diversi gruppi etnici o razziali, attraverso il riconoscimento di un unico sistema giuridico ed etico. Più nello specifico, quando si parla dell’immigrazione in Italia, quel sistema dovrebbe essere il nostro, quello democratico-occidentale scandito da principi cartesiano-voltairiani che trovano cardine nella libertà, innanzitutto dalla paura, e nella parità tra i sessi. Ricordarlo non fa male. Soprattutto quando si incappa in storie come quella riportata ieri da pochi media.

Jamila è una 19enne di Brescia, origine pakistana, orfana di padre. Frequenta con voti brillanti un istituto professionale e gode del rispetto di insegnati, amici e compagni di classe. Insomma, è o potrebbe essere un’immigrata integrata. Chi non lo è sono i parenti di lei, fratelli del padre, i quali hanno pensato bene di segregarla in casa per 2 settimane, impedendole di parlare con chiunque e sotto la minaccia di venir rispedita in Pakistan per sposare un uomo di 20 anni più vecchio. La ragione? E’ troppo bella. Attira gli sguardi dei coetanei malgrado il velo calato sul viso e i modi dimessi. I parenti temono che, contro il volere della sharia, si innamori di un infedele non musulmano e disonori la famiglia. La ragazza sarebbe ancora sequestrata se uno degli insegnanti non avesse pubblicato un lettera aperta su un quotidiano locale denunciandone la scomparsa e riportando alcune parole della stessa Jamila: non mi ribello perché “ho paura di fare la fine di Hina”. Per chi non ricordasse, si tratta di Hina Saleem, 18enne pakistana che nel 2006 è stata sgozzata dal padre, con la complicità dei congiunti, per aver voluto vivere all’occidentale in Occidente.

Da lunedì Jamila tornerà a scuola. Non è stato facile. Ci è voluta una notte di trattative tra gli zii, la Squadra Mobile di Milano, un rappresentante della Cigl, la partecipazione dell’Associazione Overside Paskistan Italy e la mediazione del console pakistano, Syed Mohammed Farooq,  il quale ha spiegato ai fratelli musulmani che l’Islam non impone la segregazione della donna né il matrimonio forzato. Sembra che a questi insegnamenti del Corano, gli zii siano rimasti increduli. Arriviamo al punto. E’ mai possibile che uno Stato democratico abbia bisogno di trattare in sede diplomatica la vita e il futuro di una ragazzina, invece di imporre le proprie leggi che pur ci sono e sono fondanti della nostra Costituzione?

E’ chiaro a tutti che in Italia (e non solo) vi sono degli enormi problemi di integrazione perché molti dogmi religiosi, soprattutto islamici, violano i diritti principi delle nostre leggi. Il problema si crea qui: nel timore di apparire intollerante o razzista e in virtù di un cieco buonismo-terzomondista, lo Stato si è arreso. Intere zone di territorio italiano sono ufficiosamente sotto la sharia e la legislazione italiana è soffocata in nome di un multiculturalismo che, se e quando esiste, è per lo più unidirezionale. A fare le spese di questo lassismo sono sempre le categorie più deboli, ovvero donne e bambini segregati, minacciati, sottoposti all’infibulazione o costretti a matrimoni forzati. A spiegarlo con dovizia di particolari è l’attivista per i diritti femminili e deputata del PDL, Souad Sbai, origine marocchina, già raggiunta da qualche fatwa integralista per la caparbietà che dimostra nel cercare di istruire le donne sui loro diritti in un paese democratico.

Karima El Mahroug alias Ruby Rubacuori

L’obiezione è nota: non generalizziano. Non tutti gli immigrati sono così. Vero. Però, ne basta uno per massacrare una giovane di 20 anni che desidera vivere come le pare. Senza contare che i casi sono molti di più. Solo nel bresciano, spiega il preside della scuola di Jamila, le ragazze pakistane sono accompagnate a scuola, sorvegliate durante le lezioni e ostacolate nella loro vita sociale. E questo è ancora meglio che finire come Saana Dafani, marocchina 18enne di Pordenone uccisa dal padre perché amava un italiano. Shahnaz Begum, madre pakistana che in provincia di Modena, tentando di impedire che la figlia fosse costretta al matrimonio, è stata trucidata dal marito mentre il figlio pestava la sorella. E poi ci sono i poligami. Circa 15mila nel 2010, che in osservanza dei loro precetti morali e in dispregio ai nostri, si fanno l’harem di mogli e non hanno alcuna difficoltà a dichiararlo giacchè, in Italia, vige la libertà di culto. Tanto basta. Celebre è la vicenda di un macellaio marocchino di Genova che ha avanzato la seguente pretesa: lo Stato gli riconosca la terza moglie altrimenti farà ricorso al TAR.

Ora, non resta che augurarsi che le Istituzioni e la classe politica (tutta) la finiscano di occuparsi di una sola immigrata, Ruby, - la quale per di più, a suo modo, è molto integrata – dandosele di santa ragione a suon di Costituzione e inizino piuttosto a cooperare per rendere più vincolanti le gratifiche di soggiorno, allontanando subito coloro che non accettano il sistema laico-giuridico costituito. Solo dove lo Stato agisce in prima persona, può esservi integrazione e senza di essa si vive male. Qualche volta si muore.

Chantal Cresta

Foto || www.libero-news.it

Foto || www.ansa.it

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