
Il southern rock dei Blackberry Smoke infiamma l’Alcatraz di Milano
Giovedì 22 ottobre. Una serata autunnale fresca e pungente a Milano. Fuori dall’ingresso dello storico Alcatraz, una lunga fila di persone aspetta l’apertura delle porte. Si vedono stivali, barbe lunghe, cappelli da cowboy e bandiere sudiste (articoli furbescamente venduti, assieme alle consuete magliette, anche dagli ambulanti che pascolano sul marciapiede di fronte all’ingresso del locale). L’occasione è di quelle speciali per la ristretta cerchia nostrana di appassionati del southern rock: il primo concerto in Italia dei Blackberry Smoke.
HOLDING ALL THE ROSES – Originari di Atlanta, Georgia, i Blackberry Smoke sono una realtà ormai ampiamente consolidata nel panorama rock americano di stampo sudista, fedeli prosecutori dei quel filone di rock sincero e sudato, contaminato da country e blues, di cui i Lynyrd Skynyrd sono stati gli assoluti iniziatori durante la prima metà degli anni ’70. Di pochi mesi fa l’uscita di Holding All The Roses, quarto album in studio dei Blackberry Smoke, appena prima dell’inizio del tour che li ha visti (finalmente) arrivare per la prima volta su un palco italiano. La serata è aperta dal buon rock blues del trio The Record Company, originario di Los Angeles: una mezz’ora abbondante di rock di buona fattura, perfetto per scaldare il pubblico (discretamente numeroso) prima del tanto atteso arrivo degli headliner, per la prima volta nella loro storia in Italia.
Una lunga attesa, che è stata ampiamente ripagata. I Blackberry Smoke, capitanati dal simpatico e bravissimo Charlie Starr, si sono presentati in grande forma e hanno offerto al pubblico milanese due ore piene di grandioso rock americano. La discografia della band è stata ripercorsa nella sua interezza, con un occhio particolare rivolto al nuovo Holding All The Roses, di cui hanno spiccato la galoppante titletrack, la granitica accoppiata Fire in The Hole e Let Me Help You – ancora più corpose che su disco – e la semiacustica e riuscitissima Too High. Anche il precedente album The Whippoorwill (datato 2012) è stato ampiamente saccheggiato durante la serata: da segnalare l’intensa ballad One Horse Town, l’ormai classico Ain’t Much Left of Me, la scanzonata Six Way to Sundays e una splendida Crimson Moon. Non potevano poi mancare alcuni classici tratti dal loro secondo album, come, tanto per citarne alcuni, Good One Coming On, Up In Smoke, Freedom Song e Shake Your Magnolia.
UNA GRANDE LIVE BAND – Il risultato è stato due ore di grande rock americano, suonato in modo egregio da una band affiatata, divertita, compatta e perfettamente a proprio agio sul palco. Quello che ha maggiormente colpito è stato proprio l’abilità dei Blackberry Smoke di presentare i brani dal vivo, che di fatto sono risultati più corposi, omogenei, caldi e rotondi rispetto alle rispettive versioni in studio, già da applausi. Altra nota di merito la tecnica strumentale dei singoli membri, in particolare del frontman e chitarrista Charlie Starr, dotato di una voce calda e intensa e al tempo stesso abilissimo chitarrista dal tocco versatile ed eclettico. Le sue doti fuori dal comune sono state inoltre coadiuvate perfettamente da una band amalgamata e molto affiatata. Le ritmiche precise del monumentale (anche in senso fisico) Paul Jackson; il basso pulsante del placido (o fumato?) Richard Turner; e il tappeto ritmico composto dalla densa tastiera di Brandon Still e dalla batteria (semplice ma precisa) del buon Brit Turner: ingredienti perfettamente bilanciati di una ricetta musicale devastante per intensità e impatto. I Blackberry Smoke sono una band fatta per stare sul palco, luogo nel quale trova la dimensione perfetta per esprimere appieno tutte le sue qualità e mostrare la sua profonda voglia di suonare rock, una volontà apparsa chiara durante ogni singolo brano suonato. L’augurio è quello di rivedere presto Charlie Starr e soci su un palco italiano, magari a discapito di uno dei “soliti noti”, grupponi storici ormai vecchi e stanchi, ma perennemente sui palchi di tutto il mondo: un po’ per abitudine, un po’ per soldi, non certo per il piacere di suonare, ormai svanito da tempo.
Alberto Staiz