Il permesso di soggiorno costa troppo, Corte Ue boccia l’Italia

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea boccia la normativa italiana sul rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno. Seconda condanna per l'Italia in poche ore

italia

Il rinnovo della carta di identità costa dieci euro, per il permesso di soggiorno ce ne vogliono almeno ottanta. La Corte di Giustizia Europea condanna l’Italia

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha bocciato la legge italiana che impone, ai cittadini extracomunitari richiedenti il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno, di pagare un contributo oscillante tra gli ottanta e i duecento euro. Secondo i giudici difatti il costo, decisamente elevato, è «sproporzionato rispetto alla finalità della normativa Ue, e può creare ostacoli all’esercizio dei diritti».

DIVARIO INGIUSTIFICATO - L’annullamento del decreto sul contributo per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno era stato richiesto al Tar del Lazio da Cgil e Inca. Centrale, nel ricorso presentato, è stato l’enorme divario presente tra i dieci euro, necessari per rinnovare una carta di identità, e gli – almeno – ottanta – previsti per il documento richiesto dai cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo. Investita della questione, la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che la legge Ue in materia «non ammette la normativa italiana», in quanto quest’ultima «richiede un contributo sproporzionato», ricordando che «l’obiettivo principale della direttiva è l’integrazione». Ad essere obiettivi, e senza dover scendere per forza nell’ambito politico, un costo così elevato appare ingiustificabile, sopratutto di fronte alla frequenza con cui i soggiornanti di lungo periodo sono chiamati a rinnovare i documenti.

SECONDA CONDANNA – Una bocciatura che segue di poche ore la condanna rimediata dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – organo del Consiglio d’Europa, vale la pena ricordarlo, non dell’Unione Europea – che ha condannato l’Italia per la violazione  degli articoli 3 (divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti), e di diversi paragrafi dell’articolo 5, riguardanti il diritto alla libertà e alla sicurezza e quello ad un rimedio effettivo, oltre che per il ricorso all’espulsione collettiva, una procedura vietata da diverse norme scritte e consuetudinarie presenti nell’ordinamento internazionale.

Carlo Perigli

 

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