Il Grande Gatsby – Recensione

Il grande Gatsby locandina

Locandina del film

Visionario, eccentrico, poliedrico, barocco, kitsch. Tanti sono gli aggettivi che sono stati accostati a Baz Luhrmann per descrivere il suo personalissimo modo di raccontare (o riadattare) storie al cinema. Quello del regista australiano è, infatti, uno stile inconfondibile, uno stile che nasce da una mente fantasiosa capace di creare mondi dove realtà e finzione si mescolano sapientemente, dove danza, canto e recitazione si fondono in perfetta armonia. Ne fu prova Romeo + Giulietta, ne fu una conferma Moulin Rouge. Dopo il melodrammatico Australia, arriva oggi nelle sale italiane, anticipato da una tartassante campagna pubblicitaria, il suo attesissimo quinto lungometraggio (di cui è anche co-sceneggiatore e produttore): Il Grande Gatsby, tratto dal famoso romanzo dello scrittore americano Francis Scott Fitzgerald e presentato ieri in apertura al Festival di Cannes.

La storia è quella dell’aspirante scrittore Nick Carraway (Tobey Maguire), che si trasferisce a New York dal Midwest Americano durante la primavera del 1922, un’epoca di dissolutezza, jazz sfavillante, contrabbandieri di alcool e azioni in borsa alle stelle. Inseguendo il suo “Sogno Americano”, Nick si trova ad avere come vicino di casa un misterioso milionario, Jay Gatsby (Leonardo DiCaprio), il quale, una sera, lo invita inaspettatamente a una delle sue portentose feste. Da quel momento il giovane sarà scaraventato nell’affascinante mondo dei miliardari americani, fatto di illusioni, amori, inganni e opportunismo, diventando testimone (e narratore) di una storia d’amore impossibile tra sua cugina Daisy (Carey Mulligan) e lo stesso Gatsby, che furono amanti già cinque anni prima ma costretti a separarsi a causa della guerra. La tragedia, però, è dietro l’angolo, perché Daisy si è sposata nel frattempo con il milionario Tom Buchanan (Joel Edgerton), menefreghista e donnaiolo incallito, e sebbene i due amanti tenteranno di sfidare il tempo provando a ricostruire ciò che è andato perduto, scopriranno che non è possibile ripetere il passato.

Maguire DiCaprio Mulligan Il Grande Gastby

Tobey Maguire (Nick Carraway), Leonardo DiCaprio (Jay Gatsby), Carey Mulligan (Daisy Buchanan) e Joel Edgerton (Tom Buchanan) in una scena del film

Con Il Grande Gatsby, Luhrmann si conferma ancora una volta un regista che meglio di molti altri riesce a intrigare l’occhio dello spettatore con delle strabilianti peripezie visive, dimostrando inoltre un innato talento per la direzione degli attori e un ottimo gusto per i costumi e le scenografie accattivanti. Tutti questi elementi collaborano insieme a fare de Il Grande Gatsby una grande e visionaria coreografia collettiva, uno sfarzoso ballo guidato da un grande Leonardo DiCaprio che, dopo Romeo + Giulietta, torna di nuovo a collaborare con Luhrmann interpretando, con la sua ormai comprovata e magistrale bravura, il misterioso e ambiguo ruolo di Jay Gatsby (che fu già di Robert Redford nel 1974).

Di Caprio Mulligan Il Grande Gatsby

Gli amanti Leonardo DiCaprio (Jay Gatsby) e Carey Mulligan (Daisy)

Nessuno, infatti, sa chi sia Gatsby, cosa faccia, da dove arrivi, da dove provenga la sua ricchezza. Quello che è certo è che l’affascinante miliardario organizza feste spettacolari, con balletti, orchestre, jazz, balli, divi del cinema. Casa sua è un po’ come il Moulin Rouge. E come il Moulin Rouge, la villa di Gatsby è il luogo in cui la spensieratezza esplode prima che la tragedia si abbatta sui colori, sui lussi, sugli sfarzi e sui lustrini, prima che il giovane Nick (interpretato da un perfetto Tobey Maguire) si ritrovi a dover fare i conti con le contraddizioni e il marcio della società americana, con i suoi paradossi e la sua decadenza morale, finendo per trasformarsi in un uomo senza speranza (in sostanza un secondo Christian-Ewan McGregor). Il merito del romanzo di Fitzgerald fu, infatti, quello di riuscire a descrivere con grande freddezza proprio quella società che di lì a poco avrebbe conosciuto la miseria con la crisi economica, quella società materialista, corrotta dal denaro, dove i rapporti umani e sociali si basavano sulla quantità di ricchezze possedute e sul colore della pelle.

E un po’ come la società che descrive, il film di Luhrmann è in superficie perfetto, visivamente accattivante (i costumi e, soprattutto, la fotografia, magnificati da un meraviglioso 3D, illustrano metaforicamente quella finzione insita nella società dell’epoca), ma sotto questa fulgida luminosità pare proprio che a mancare sia la concretezza, la sostanza. Non c’è, purtroppo, una forte dinamica di coinvolgimento emotivo, o meglio, di parteggiamento per il protagonista e per la sua storia d’amore, così come fu per Moulin Rouge. La colpa non è certo di DiCaprio, che da solo potrebbe muovere l’intera narrazione: perfetto, magistrale, affascinante, quasi naïf nel suo voler credere che sia possibile “ripetere il passato”, sperare in un domani che sia così come lo si è sempre sognato. Un limite che è presente anche nel romanzo e nello stile di Fitzgerald, lucido, freddo, ma comunque malinconico, evocativo e tragico, quello che il film di Luhrmann riesce a essere solo a tratti. Il più delle volte, infatti, quelle emozioni che dovrebbero oltrepassare lo schermo rimangono tutte lì, intrappolate nei lustrini e nei diamanti, nel vetro dei bicchieri dove cola a fiumi lo champagne, e quelle feste che sembrano divertire così tanto i personaggi, altrettanto non fanno con lo spettatore. Non basta la colonna sonora che, come fu per Moulin Rouge, riadatta bene pezzi vecchi e nuovi al racconto ambientato in un’epoca passata, grazie alla bravura del rapper Jay-Z che ha arrangiato classici come Back to Black di Amy Winehouse o Crazy in Love di Beyoncé in stile jazz e swing.

In sintesi, Il Grande Gatsby di Luhrmann è una bellissima e lucida porcellana dalle ottime fattezze, perfetta in superficie, ma estremamente fragile. È una festa piena di luci e colori alla quale siamo tutti invitati ma che pochi di noi ricorderanno, consapevoli che, una volta, le feste di questo visionario regista lasciavano a chi vi partecipava ricordi memorabili, anche se, il più delle volte, finivano in tragedia.

David Di Benedetti

@davidibenedetti

[youtube]http://youtu.be/Ck56GzJ7d3g[/youtube]

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