I dissapori mai placati della destra italiana

Rapporti conflittuali fra i due pilastri fondativi del Pdl. Sintomi di una lacerazione intestina mai guarita

di Marco Luigi Cimminella

Se facciamo un salto indietro nel tempo, fino al congresso istitutivo del Popolo della Libertà, e leggiamo in maniera critica il suo iter costitutivo, noteremo che i rapporti fra il premier e il presidente della Camera, Gianfranco Fini, non sono stati sempre amichevoli e collaborativi. La necessità di rafforzare ed unire la destra italiana attraverso la fusione di due partiti, quello di Forza Italia e di Alleanza Nazionale, portatori di due tradizioni storiche diverse, rischiava di condurre ad un accozzaglia e ad un mix ideologico fra valori che si rifanno a quelli propri del liberalismo conservatore e ideali di matrice socialista e nazionalista. Una commistione che si riflette nella composizione del Pdl, formato da esponenti che si richiamano all’una o all’altra esperienza storica. Quando An si è fusa con il partito di Berlusconi, la maggioranza dei suoi membri, rievocando con amara nostalgia i tempi d’oro di Giorgio Almirante, reduce della Repubblica di Salò, si era espressa contraria a tale unione, osteggiandola fino alla sua concreta realizzazione. E’ doveroso, a questo punto, ricordare che il soggetto politico che vedeva come leader Fini prese forma nel 1993 a Fiuggi, da un’ampia frangia del Movimento Sociale Italiano (MSI).

Dopo la nascita del Pdl molti dei nostalgici di An si sono ritrovati in un partito che propugnava valori diversi da quelli del loro passato. Di fronte al tentativo del Cavaliere di identificare il partito e la destra italiana  nella sua persona, di considerarsi il leader indiscusso e nel contempo il “Gesù Cristo della politica italiana”, agli scandali sessuali, i pendenti giudiziari e le critiche internazionali che continuano a piovere contro di lui, i finiani continuano a premere per far valere la propria libertà di azione e i propri orientamenti all’interno del partito. Difatti, dopo alcuni comportamenti e dichiarazioni del capo del governo, il presidente della Camera ha preferito dissociarsi, lungi dal ritenerli adeguati al miglioramento del benessere della situazione politica italiana e dei suoi cittadini.

I dissapori interni al partito si sono manifestati proprio durante un incontro tra Fini, Berlusconi e altri esponenti del Pdl, nel quale, dopo aver discusso del trasformismo di Casini in occasione delle regionali, il presidente della Camera ha criticato il premier per le modalità di conduzione del partito e del governo sostenendo: “Silvio, non puoi andare avanti così, il partito lo convochi a cose fatte, al governo decidi da solo o insieme alla Lega. È così su tutto”. In un certo senso, pensando alle promesse relative alla riforma tributaria o ai continui provvedimenti in campo giudiziario, necessari per impedire lo svolgimento dei processi che potrebbero segnare negativamente la carriera politica di Berlusconi, le accuse di Fini non sono del tutto infondate. Berlusconi, come ha più volte palesato, avverte l’esigenza di stilare una riforma giudiziaria la cui proposta è foriera di dubbi sulla sua costituzionalità tra i suoi stessi uomini.

Ma, a conti fatti, Berlusconi è ormai identificabile con la maggioranza della destra italiana. Alle elezioni regionali e a quelle europee il premier affianca sempre il suo viso al candidato quasi a far intendere che si voti lui e non il partito. E’ l’unico leader politico che ha ammiratori e fans piuttosto che sostenitori e elettori. Quando l’opposizione scende in piazza a protestare,  riconosce come suo antagonista Berlusconi, non il Pdl. Si organizzano infatti, “No B-day” non “No Pdl-day”. Contro le derive plebiscitarie del governo Berlusconi si era espresso lo stesso presidente della Camera, che nel novembre 2009, durante il “premio Borsellino” a Pescara, convinto che la sua conversazione con il procuratore della Repubblica Nicola Trifuoggi si svolgesse a microfoni spenti, parlando delle dichiarazioni di Spatuzza, ha criticato il comportamento del premier dicendo: “Confonde il consenso popolare che ovviamente ha e che lo legittima a governare, con un sorta di immunità nei confronti di qualsiasi altra autorità di garanzia e di controllo – concludendo dopo la risposta dell’interlocutore – confonde la leadership con la monarchia assoluta”.

Fini avvertendo la necessità di porre fine a questa politica di appeasement nei confronti delle rivendicazioni berlusconiane e rivendicando la sua libertà di azione nell’assolvere in maniera corretta e trasparente ai suoi compiti istituzionali,  in questi giorni ha ribadito: “Silvio io lavoro con te, non per te”.

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Una risposta a I dissapori mai placati della destra italiana

  1. avatar
    Nicola Gilardi 18/01/2010 a 13:57

    La foto dice proprio tutto!

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