
Governo Monti, fase due: la grande occasione della politica
Roma – E così, è iniziata la “fase due” del Governo Monti: quella dedicata alla crescita ed allo sviluppo della nostra economia; competenze che rientrano nella natura di un governo “tecnico”, nato da e per l’emergenza economica e finanziaria e vivo, temporaneamente, in funzione di essa.
Tuttavia, per il momento particolare che l’Italia sta vivendo e per la storia che ha alle spalle, sarebbe un un’imperdonabile errore limitare questa fase straordinaria della politica italiana alla mera gestione dei conti dello Stato (pur in un’ottica progettuale). A questa esperienza si può, anzi si deve chiedere di più.
Ma ciò è possibile solo se i protagonisti di questa fase si convinceranno, veramente, di due semplici verità.
La prima è che non siamo in una situazione di emergenza democratica: il governo Monti non è stato regolarmente eletto, e ciò è ascrivibile semmai ad un’anomalia della democrazia nella sua forma, ma l’esecutivo è costituzionalmente legittimo e dipendente dal Parlamento, che è espressione della volontà popolare. Quindi non siamo in un momento di pericolo tale da sperare unicamente che questo governo finisca il prima possibile.
La seconda verità è che l’emergenza non è solo economica, ma politica ed istituzionale. Istituzionale per quella “politicizzazione dei poteri neutrali” in cui è incappato il nostro sistema (ultima l’inevitabile crescita progressiva del ruolo politico del Quirinale); politica perché la nostra politica si è dimostrata incapace di fare il proprio mestiere: governi che non durano, parlamenti che non legiferano, politica che non riforma e non si autoriforma. È dal ‘96 che si parla si attuare quelle modifiche strutturali necessarie per adattare il dettame costituzionale alle nuove esigenze e ai cambiamenti avvenuti negli ultimi anni; ma quella “Seconda Repubblica”, nata dalla provvisorietà, ha fatto di questa il suo carattere distintivo, non riuscendo a cambiare nulla e nutrendo le stesse aspirazioni di sempre: superamento del bicameralismo perfetto, riduzione dei parlamentari, maggiori poteri al Governo, bipolarismo più strutturato, federalismo….
È proprio a questo che i restanti 18 mesi di legislatura dovranno servire.
Certo in democrazia sarebbe formalmente più corretto che fosse un governo regolarmente eletto ad occuparsene direttamente. In questi anni abbiamo rispettato la forma, ma la sostanza dei nostri mali non è cambiata. La “Seconda Repubblica”, per la qualità del suo sistema, dei suoi partiti e dei suoi interpreti, è stata caratterizzata da una dinamica governo/opposizione sostanzialmente distruttiva, dove la proposta del rivale era sbagliata a priori, dove i partiti estremi hanno sempre avuto maggior importanza di quanta ne meritassero e dove anche solo una pur pallida intenzione di convergenza veniva ingloriosamente qualificata come inciucio.
Se dovessimo tornare alle urne domani, ci troveremmo nella stessa identica situazione, con gli stessi problemi e la stessa impossibilità a varare riforme che, oggi, sono diventate vitali.
Perché oggi la priorità, insieme alla gestione della crisi economica, è la riforma del nostro sistema politico, anche se il prezzo per ottenerla è la momentanea sospensione delle regole democratiche.
D’altronde non è affatto un’eccezione che la transizione da un tipo di democrazia ad un altro, detto di species, avvenga attraverso forzature della legittimità democratica (come della norma costituzionale). Basti pensare al passaggio dalla Quarta alla Quinta Repubblica francese, quando De Gaulle, andando contro il dettame costituzionale, impose l’elezione diretta del presidente.
Oggi la politica italiana ha una grande occasione di riscatto e proprio dallo scenario che si è venuto a creare derivano le forse irripetibili condizioni per un esito finalmente positivo.
L’emergenza ha unito i partiti più grandi in uno spirito di collaborazione che forse, come ricorda Monti, è davvero più forte di quello che essi stessi dichiarano pubblicamente. I partiti estremi sono all’angolo, e per la prima volta nella storia repubblicana i loro voti non sono più determinanti. La logica della muscolare contrapposizione politica, non essendo più i partiti obbligati a difendere il proprio operato o a screditare quello altrui, si sta visibilmente affievolendo.
E con il ruolo di approvazione e di proposta legislativa del Parlamento, dove i partiti potranno lavorare concretamente alle necessarie riforme istituzionali a costituzionali, la sostanza della nostra democrazia, garantita anche dall’istituto referendario, rimane salva.
Non si salverà invece il nostro sistema politico, se i partiti non capiranno la straordinarietà di questa imperdibile occasione.
Tommaso Tavormina
Foto: blog.panorama.it; fsfi.it; giornalettismo.it