
Giustizia. Assolto l’ex ministro Romano: «La fine di un incubo»

L'ex ministro dell'Agricoltura Saverio Romano
Palermo – Alla fine giustizia è fatta. Anche se si potrebbe aggiungere “con riserva del dubbio”. Quello che conta, però, è la sentenza. Questo avrà pensato l’ex ministro dell’Agricoltura Saverio Romano dopo che il giudice ha pronunciato il verdetto, a conclusione del processo con rito abbreviato, che lo assolve dall’accusa di concorso esterno in associazione di tipo mafioso.
Un’inchiesta, aperta a circa nove anni fa, caratterizzata da poche udienze e due richieste di archiviazioni, fino ad arrivare all’imputazione coatta.
Nel 2003 Romano (che all’epoca faceva ancora parte dell’Udc) è stato indagato dalla Procura di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione.
Una carriera, quella dell’ex ministro, caratterizzata da luci e ombre, a partire dalla sua amicizia con Salvatore Cuffaro, l’ex presidente della Regione Sicilia che sta scontando da circa un anno (per un totale di sette) la pena per il reato di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio presso il carcere di Rebibbia. E quella con Antonino Mandalà, il capo della famiglia mafiosa di Villabate di cui Romano avrebbe confessato, durante una cena a Roma, di farne parte.
A questo si aggiunge lo stretto rapporto che lo legava al boss di Brancaccio Giuseppe Guttaduro, condannato a 13 anni e 4 mesi di carcere (scarcerato il 3 marzo 2012, per aver scontato la pena con riduzione per buona condotta).
Romano ha appoggiato e sponsorizzato l’inserimento in lista delle Regionali del 2001 Domenico Miceli (ex assessore comunale di Palermo, condannato con pena ridotta a sei anni e mezzo per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa) e Giovanni Acanto. Dietro le loro candidature, si sospetta lo zampino di alcuni boss mafiosi: Miceli, infatti,rappresentava gli interessi del boss di Brancaccio Guttadauro, mentre la candidatura di Acanto era su ordine della famiglia mafiosa di Villabate.
Infine, l’evento da cui è partito l’intero impianto probatorio contro Romano: la visita, nel lontano 1991, ad Angelo Siino (l’uomo che per anni ha gestito gli appalti per conto di Cosa Nostra) per chiedere voti per le elezioni regionali di quell’anno.
Tutto questo aveva portato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel Marzo 2011, ad esprimere delle riserve sulla sua nomina come ministro dell’Agricoltura.
Silvio Berlusconi, all’epoca presidente del Consiglio, aveva rassicurato lo stesso Romano che tutto sarebbe terminato con una semplice archiviazione. Un gesto di riconoscenza da parte del Cavaliere, dopo che l’ex ministro, abbandonando l’Udc per aderire al gruppo Misto (con la componente I Popolari di Italia Domani),lo aveva salvato da quella mozione di sfiducia tenutasi nel dicembre 2011.
Non andò proprio così, visto che, un anno fa, il giudice per le indagini preliminari ha chiesto l’imputazione coatta di Romano, fino ad arrivare alla settimana scorsa con la Procura di Palermo che chiede la condanna di Romano a otto anni di reclusione.
E arriviamo al presente, all’ultimo atto di questo spettacolo che dura da nove anni. Prima che il giudice, Fernando Sestito, si ritiri in camera di consiglio, Romano fa la sua ultima arringa in lacrime: «Non ho mai tradito il paese. Ho una toga che è pulita e spero di poterla consegnare a mio figlio al più presto».
Poi se ne va, non vuole ascoltare di persona la sentenza. Torna a casa dai suoi cari, con il timore sempre più concreto di dover preparare la valigia per raggiungere il suo amico fidato Cuffaro a Rebibbia.
Arriva, invece, il colpo di scena. Il giudice assolve il quasi spacciato ex ministro dell’Agricoltura per insufficienza di prove.

L'ex presidente della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro
«La fine di un incubo» dirà Romano dopo la conoscenza del verdetto. A seguire le immediate esternazioni di solidarietà di molti esponenti del Pdl, a partire dal segretario Angelino Alfano che definisce questo processo una «una strumentalizzazione politica e massmediatica».
Il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Lupi, pretende delle scuse da parte degli accusatori di Romano, convinto che il vero intento era attaccare il governo Berlusconi.
Il tutto termina con le dichiarazioni di Daniele Capezzone e Stefania Prestigicacomo che, all’unisono, si domandano chi ripagherà l’ex ministro delle sofferenze che ha dovuto soffrire in tutti questi anni, mentre i veri colpevoli sono rimasti impuniti.
Un lieto fine quasi da fiaba. Peccato che l’eroe protagonista tutto sia stato tranne che un principe azzurro. La sentenza, però, parla chiaro: le prove non erano sufficienti. Lui è innocente, il resto sono soltanto chiacchiere da bar.
Giorgio Vischetti
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