
Freddie Mercury: the show is still going on
di Giovanni Frasca
“Se dovessi morire domani, non mi preoccuperei. Dalla vita ho avuto tutto. Rifarei tutto quello che ho fatto? Certo, perché no? Magari un po’ diversamente! Io cerco solo di essere genuino e sincero e spero che questo traspaia dalle mie canzoni“ (Freddie Mercury, 1986)
Sono passati 18 lunghi anni da quel lontano 24 novembre del 1991 quando una delle icone della storia del rock e voce emblematica dei Queen scompariva lasciando un vuoto incolmabile nel cuore dei fan e di tutti quelli che, anche distrattamente, avevano sentito intonare “We are the champions” da quella voce in grado di produrre un suono pari a tre ottave di estensione senza utilizzare il falsetto, mentre avvalendosi di quest’ultimo avvicinava le quattro.
Freddie (vero nome Farrokh Bulsara) si avvicinò alla musica sin dalla permanenza in collegio, suonando il piano nella sua prima band, The Hectics, che si esibiva durante feste o eventi scolastici. Dopo aver ammirato band del calibro dei Led Zeppelin, Rolling Stones, The Who ed artisti come Liza Minnelli, riuscì a prendere un po’ da ognuno per plasmare quello che sarebbe stato il Freddie da palcoscenico. A proposito di quest’ultima dichiarò: «Una delle mie prime influenze artistiche fu Cabaret. Adoro Liza Minnelli, il modo in cui interpreta i suoi brani è pura energia».
Energia, dunque, che portava sul palco in tutti i suoi concerti e trasmetteva ai fan che impazzivano letteralmente per le sue performances da frontman dei Queen (insieme a Brian May, Roger Taylor e John Deacon), unendo esibizioni da pelle d’oca ad effetti scenici teatrali che si rivelarono un’innovazione chiave spianando la strada al successo. Memorabile il periodo in cui Mercury e May si presentarono ai concerti truccati e vestiti totalmente in bianco e nero, in cui il frontman chiuse i live lanciando rose agli spettatori, brindando con loro e intonando l’inno nazionale del Regno Unito, God Save the Queen e in cui lo stesso cantante apparve con l’aspetto di un motociclista, abbigliato con giubbotto di pelle nera, indossando da contrasto le scarpe dette “ballerine”.
Al culmine della sua carriera apprese la notiza della malattia che gli avevano diagnosticato, nel lontano 1987. Era l’AIDS, che lo costrinse ad annullare improvvisamente il tour dei Queen suscitando apprensione nel mondo della musica e alimentando le paure dei fan a causa di rumour sul suo stato di salute (intuibile tra l‘altro dal viso molto asciutto constatato nel suo ultimo video “These are the days of our lives”). Paure confermate quattro anni dopo dal comunicato stampa del 23 Novembre 1991 che confermò tutto.
L’indomani se ne sarebbe andato uno dei più grandi interpreti di tutti i tempi del rock, raggiungendo l’olimpo dei migliori che ispirerà per gli anni a seguire tutte le rockband del futuro.Ma per chi ha vissuto quell’epoca o non era ancora nato a quei tempi ma nutre una passione per la musica vera, è naturale avvicinarci ad artisti come lui che hanno insegnano e continueranno sempre ad insegare tanto.
“Non voglio cambiare il mondo, lascio che le canzoni che scrivo esprimano le mie sensazioni e i miei sentimenti. Per me la felicità è la cosa più importante e se sono felice il mio lavoro lo dimostra. Alla fine tutti gli errori e tutte le scuse sono da imputare solo a me. Mi piace pensare di essere stato solo me stesso e ora voglio soltanto avere la maggior quantità possibile di gioia e serenità, e immagazzinare quanta più vita riesco, per tutto il poco tempo che mi resta da vivere.”(Ultima intervista di Freddie Mercury, 1991)
Cantava “The show must go on” e aveva ragione. The show is still going on.