Festival del Film di Roma: Takashi Miike pazzo e contento

Toma Ikuta in una scena di "The mole song" (sentieriselvaggi.it)

Toma Ikuta in una scena di “The mole song” (sentieriselvaggi.it)

Nell’ultima giornata di presentazione delle pellicole in concorso, irrompe il giapponese Takashi Miike con la pazzoide prova di The mole song – Undercover agent Reiji, esilarante action movie impastato sorprendentemente di commedia demenziale ai limiti della pura imbecillità eppure esplosivo in colpi di scena e trovate registiche da interminabile scroscio di applausi. Merito, naturalmente di quel vero e proprio maestro quale (qualora ci fosse ancora bisogno di dirlo) è, appunto, Miike, limpido genio di regia e montaggio sempre pronto a fare delle poltroncine della sala buia qualcosa da rendere poltiglia, per un verso o per un altro.

Presentati in giornata, sempre in concorso, anche l’italo-croato Tir di Alberto Fasulo e Another me di Isabel Coixet.

IL LUCIDO FOLLE – Si potrebbe sostenere che Takashi Miike sia il Quentin Tarantino giapponese se non fosse che, per contro, è proprio Tarantino ad essere, diciamo, il Miike americano per diretta clonazione, se e dove possibile. Almeno in piccola parte, perché il quantitativo (mai inversamente proporzionale al fattore qualità) di film prodotti dal nipponico divora di gran lunga quelle di un qualsivoglia cineasta di semi-genere a stelle e strisce. L’anno scorso, sempre al festival capitolino, Miike ci aveva letteralmente terrorizzati con quel terrore assoluto che aveva dimora nello sconvolgente Il canone del male. Questa volta, invece, ci imbottisce di risate e sobbalzi e lo fa in una maniera che rasenta la perfezione sia visiva che dialogica. The mole song è l’esilarante esperienza della recluta Reiji Kikukawa (Toma Ikuta), diplomato con il punteggio più basso di tutti i tempi, tendenzialmente idiota ma carico di una forza e di un’energia talmente esplosiva da uscirgli per le orecchie. Un giorno, Reiji viene convocato dal capo della polizia per condotta disonorevole, salvo poi essere subito recuperato, senza distintivo, con l’incarico di infiltrarsi in un’organizzazione criminale per arrivare ad arrestarne i più grandi esponenti.

Tre, due, uno e…bam! Sei già nel film e non puoi tirarti indietro fin da subito, inchiodato al fianco di uno sventurato nudo legato sul cofano di una macchina che sfreccia a trecento all’ora. L’inizio non è uno solo ma se ne contano almeno due o tre, tanti, cioè, quante sono le surreali e irresistibili prove iniziatiche che lo sfigato Reiji deve subire reagendo inconsapevolmente eppure in maniera tanto perfetta da renderlo l’unico infiltrato giapponese in grado di sconfiggere la Sukiya-kai dal suo interno. Di qui in poi sarà solo un più che geniale crescendo di situazioni e incontri ai limiti dell’impossibile, tra gag di finimondo vaganti per territori come l’intuito, la sessualità, il modo di vivere del luogo o l’assurdità di certi rapporti interpersonali. Può sembrare ma (garantiamo) non è affatto poco.

IL FILM SBAGLIATO – Se fino ad ora abbiamo avuto modo di assistere alla proiezione di diverse pellicole anche poco convincenti ma comunque orientate verso uno o più tentativi di prendere una direzione in termini linguistici o tecnici, questa volta è stato possibile assistere ad un film sostanzialmente sbagliato dall’inizio alla fine (in concorso, tra l’altro). Another me di Isabel Coixet, infatti, prende in prestito tematiche trite e ritrite nel tentativo di portare sullo schermo un proprio personale approfondimento psicologico del concetto di dualismo. Laddove esempi ben più lodevoli come, tra i più recenti, Il cigno nero di Darren Aronofsky arrivano vittoriosi, Another me fallisce in maniera quasi abominevole nel continuo incespicare in una sceneggiatura a dir poco banale e blasfema nel sua capacità di rovinare letteralmente ciò che, invece, sul piano visivo poteva vantarsi di premesse anche molto interessanti.

Branko Zavrsan in una scena di "Tir" (rbcasting.it)

Branko Zavrsan in una scena di “Tir” (rbcasting.it)

Inghilterra. Fay (Sophie Turner) è una ragazza problematica come tante sue coetanee. Tra routine quotidiana sobria e fastidiosamente monotona, incubi notturni e indecisioni nei rapporti interpersonali, la tranquillità della ragazza viene scossa nel momento in cui si insinua in lei un terribile sospetto: una giovane incredibilmente uguale a lei sembra perseguitarla tentando di rubarle prima l’identità e poi la vita. Come è facile dedurre, ci si trova di fronte ad un soggetto di tutto rispetto eppure letteralmente massacrato da un crescendo di banalità alquanto raccapriccianti e, viste le buone premesse tradite, sinceramente snervanti. Peccato, davvero, per una buona occasione persa.

LA NOBILTA’ NELLA MONOTONIA VIAGGIANTE – Un altro film che ha rischiato molto di cadere nel banale e che, invece, sembra essere comunque riuscito a mantenersi in dignitoso equilibrio sul sottilissimo filo che divide l’errore plateale dal coraggioso esperimento, è senza dubbio Tir di Alberto Fasulo. In esso, Branko Zavrsan interpreta se stesso nelle vesti di camionista in quella che si pone come una docu-fiction molto intelligente sul tema del viaggio legato sia al senso professionale che alla propria condizione esistenziale. Dopo aver realmente preso la patente di guidatore di camion, Zavrsan viene spedito da Fasulo alla guida di una serie di trasporti tra Italia e resto d’Europa. Mantenendo sempre fissa la macchina da presa sul suo volto stanco ma consapevole della validità delle proprie azioni (lavoro sfiancante ma guadagno onesto e tre volte maggiore rispetto alle paghe precedenti), Fasulo cerca (non è detto che vi riesca pienamente) di estirpare dalla radice di speranze e desideri l’essenza del vuoto alienante insito in una professione completamente spersonalizzante e, talvolta, schiavista. La forza che emerge dai silenzi e dalle poche parole del protagonista riesce comunque a far percepire la grandezza di un uomo capace di nobilitare il proprio lavoro se quest’ultimo non provvede al morale del proprio fedele compagno.

(Foto: cineblog.it / sentieriselvaggi.it / rbcasting.it)

Stefano Gallone

@SteGallone

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