Festival del Film di Roma. Eli Roth e l’ispirazione cannibale italiana

Eli Roth e Lorenza Izzo alla conferenza stampa di "The green Inferno"

Eli Roth e Lorenza Izzo alla conferenza stampa di “The green Inferno”

Quinta giornata dell’ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma all’insegna di Eli Roth e del suo cannibalismo citazionista. Il pazzoide regista statunitense, infatti, approda sul red carpet della kermesse capitolina per presentare, fuori concorso, il suo nuovo e truculento The green Inferno. Tante le altre novità interessanti apparse nel corso della giornata, dalla presenza di Filippo Timi, protagonista dell’importante I corpi estranei di Mirko Locatelli, alla proiezione, in concorso, di Out of the furnace, notevole pellicola americana di firma Scott Cooper (2 Oscar per il precedente Crazy heart: miglior attore protagonista e miglior canzone originale) che vede protagonisti Christian Bale e Casey Affleck.

IL CANNIBALE – Passare dall’horror puro al genere cannibalistico, dice Eli Roth in conferenza stampa, è «esattamente quello che fece uno come Ruggero Deodato prendendo horror e verità neorealista per farne un cocktail micidiale». È proprio a quello spietato film intitolato Cannibal holocaust del 1980 che Roth dice di essersi ispirato per il suo The green Inferno, un puro sfogo di orrore e violenza da grande schermo. Roth non fa segreto della sua venerazione per il cinema di genere italiano, anzi fa i nomi: tra, appunto, Ruggero Deodato, Mario e Lamberto Bava, Dario Argento o Lucio Fulci (tanto per citarne giusto qualcuno tra le decine da lui elencate) l’amico di Tarantino si dondola a proprio piacimento nel marasma di storiche produzioni più o meno di serie B per tirar fuori, anche lui, quanto di più apprezzato proveniente proprio dal nostro paese. The green Inferno segue le vicende di un gruppo di amici tra i quali Justine (Lorenza Izzo) e Alejandro (Ariel Levy) emergono come promotori per un viaggio in Amazzonia. Seguendo il comune e potente idealismo ambientalista, i ragazzi partono con lo scopo di fermare la distruzione di una tribù che, di giorno in giorno, sta letteralmente estinguendo la popolazione. Si arriva, però, al punto in cui la situazione precipita e il gruppo di attivisti esploratori si trasforma letteralmente in cibo per i denti dei nativi cannibali. Sadico, violento, barbaro, incivile ma, se lo si sostiene, ben diretto e, a suo modo, divertente. C’è chi dice che sia il miglior film di Roth.

IL GENITORE PROBLEMATICO – Filippo Timi, in questa edizione del festival romano, è riscontrabile in due pellicole: Come il vento, di Marco Simon Puccioni, e I corpi estranei di Mirko Locatelli. Di quest’ultima è anche protagonista assoluto, prontamente capace, da grande interprete quale è, di mantenere un film intero praticamente da solo, finendo anche per istruire e assecondare sulla scena un neonato e pochissimi altri elementi. In I corpi estranei Timi è Antonio, padre solitario del piccolissimo Pietro, affetto da una grave malattia. Assieme al figlioletto, Antonio, umbro di origine, si è stabilito a Milano in cerca di una cura che possa offrire al piccolo uno spiraglio di salvezza. Proprio a Milano, però, vive Jaber (Jaouher Brahim), quindicenne arrivato in Europa da poco fuggendo dalla primavera araba. Entrambi si incontrano e stazionano in un ospedale, prontamente trasformato in microcosmo nel quale la malattia, nella sua accezione sia fisica che spirituale, sarà il pretesto per far fronteggiare due anime diversissime ma accomunate dal tagliente senso di solitudine. Denso e a tratti magmatico, il film riesce comunque a far convivere l’eterogeneità di temi difficili come, appunto, la malattia, la solitudine e il razzismo. Notevole, anche se probabilmente avrebbe avuto una differente caratura qualora un Timi stratosferico non avesse fornito il proprio monumentale servizio.

Christian Bale e Casey Affleck in una scena di "Out of the furnace" (baleheadsblog.com)

Christian Bale e Casey Affleck in una scena di “Out of the furnace” (baleheadsblog.com)

L’AMERICA DI PROVINCIA CON NON-LIETO FINE – Gli Stati Uniti presenziano ulteriormente al Festival del Film di Roma, dopo il capolavoro di Spike Jonze Her, grazie a una pellicola di genere pur se diversamente incline alle leggi interne che regolano le produzioni hollywoodiane anche in un versante profondamente drammatico. Out of the furnace di Scott Cooper, infatti, fa della provincia americana (descritta e analizzata, ormai, veramente da chiunque e in qualunque maniera) il consueto non-luogo di dispersione civile e morale all’interno della quale Russel Baze (un ottimo Christian Bale) e suo fratello Rodney (un altrettanto notevole Casey Affleck) cercano di guadagnarsi la giornata. Russel è operaio in un’acciaieria e felicemente fidanzato con Lena (Zoe Saldana), mentre Rodney è un militare in congedo rientrante da difficilissime esperienze in Iraq. Tra un padre in fin di vita e una condizione esistenziale tutt’altro che agevole, entrambi cercano, in qualche modo, di portare a casa il cibo necessario. Russel lo fa onestamente, Rodney un po’ meno. Pertanto, il baratro è dietro l’angolo: con l’esigenza di estinguere il suo debito nei confronti di John Petty (Willem Dafoe), Rodney accetta di perseverare nelle scommesse da box clandestina nel periodo in cui Russel è in carcere in seguito a un incidente automobilistico che gli ha portato via donna e libertà, finendo per incrociare la ferocia delle gang di montagna e innescando un meccanismo di non ritorno che ha come leitmotiv la vendetta. Accennato così, il film può sembrare un qualunque episodio complementare dei vari “giustizieri della notte”. E invece Out of the furnace è una non grandiosa ma sicuramente buona rappresentazione del dolore più profondo eppure evidente, un male talmente pungente da portare il proprio tentativo di essere se stessi all’autodistruzione moralmente consenziente.

(Foto: blog.screenweek.it / baleheadsblog.com)

Stefano Gallone

@SteGallone

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