Fabrizio Corona redento: «In carcere sono diventato un uomo migliore»

Fabrizio Corona è stato condannato in diversi processi. Dovrà scontare una pena cumulativa di poco inferiore ai dodici anni

Fabrizio Corona è stato condannato in diversi processi. Dovrà scontare una pena cumulativa di poco inferiore ai dodici anni

Milano – Il carcere, si sa, non è un luogo di villeggiatura. La legge italiana, disquisendo sulla pena carceraria, ne qualifica le peculiarità coercitive, ma al contempo riconosce la funzione rieducativa del detenuto che, nel carcere, può partecipare ad attività lavorative e sociale, entrando così in un circolo virtuoso. E detta virtù sembra aver colpito anche Fabrizio Corona, il fotografo delle star, l’ex di Belen Rodriguez (ora felicemente sposata col ballerino Stefano De Martino), il fuggitivo, e chi più ne ha più ne metta.

LA LETTERA - Corona, condannato a una pena complessiva vicina ai dodici anni di carcere per una sfilza inimmaginabile di reati (evasione, detenzione d’arma da fuoco, truffa, estorsione, violazione di domicilio, oltraggio a pubblici ufficiali etc.etc.), ha scritto una lettera a Verissimo, la trasmissione condotta da Silvia Toffanin su Canale 5, nel quale annuncia la sua “redenzione”:

Penso che dopo la scoperta di una grave malattia, il carcere sia la cosa più brutta che possa accadere ad un uomo. È la realtà dell’inferno in terra, dove colpevoli e innocenti sono costretti a vivere in condizioni vergognose e disumane nell’indifferenza istituzionale. Io però, in questo momento, non provo più rabbia, né rancore per chi mi ha condannato e inflitto questa pena così eccessiva e così assurda, ma anzi lo ringrazio perché mi ha dato la possibilità di capire tante cose, mi ha aiutato a riconoscere i tanti sbagli, ad ammettere gli errori, a guardarmi dentro, nel profondo della mia anima e a capire finalmente, a quasi quarant’anni, chi sono e cosa voglio veramente.

LA MORTE CARCERARIA E L’ORGOGLIO - Corona sottolinea la durezza del carcere, che è «come morire lentamente», ma soprattutto pensa all’amore della sua vita, pensa alla madre che ha sofferto per colpa sua, e alla riscoperta dei valori più importanti della vita come fulcro per andare avanti, e riprendersi dagli errori del passato (certo, tanti, nel suo caso):

Continuo a combattere come ho fatto dal primo giorno che sono entrato in questo nuovo mondo, con questa nuova vita, per dimostrare che nei momenti di difficoltà si deve niente affatto ripiegare le ali, abbassare il tiro, ma anzi, tentare di rilanciarsi lavorando sui propri margini di miglioramento e sulla riscoperta dei valori veri e dei sentimenti come l’orgoglio e il coraggio [...] Oggi, chiuso dentro la mia cella, la numero 1 del primo reparto del carcere di massima sicurezza di Opera, guardandovi seduto dal mio sgabello di legno mezzo rotto, attraverso un minuscolo televisore degli anni Settanta, voglio vedere mia madre sorridere: ha già pianto e sofferto troppo

Stefano Maria Meconi

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