
Ettore Scola – E’ stato un bel film
Ettore Scola è morto. Aveva 84 anni, era anziano. Un mentore del cinema, un creatore del genere italiano, una bandiera nel mondo, unione di stile e morale. Esistono registi cinematografici che, con il tempo, vengono apprezzati. Ne esistono migliaia che dirigono e nessuno capisce ciò che vogliono tramettere, loro per primi. Altri eseguono capolavori e robaccia, ben sostenuti da una folta schiera di intellettuali che ne designano la ‘suprema arte’ sempre e qualunque cosa facciano. Esistono poi i registi oggettivi. Artisti che possono piacere o non piacere, ma non possono non essere capiti. Il loro messaggio è puro e sincero, il loro scopo non è l’applauso quanto la realtà. Ettore Scola è stato uno di questi.
CHI ERA SCOLA - Della vita privata di Ettore Scola si sa poco, perché, come ogni artista, la sua arte non era caratterizzata dal suo modo di vivere. Non era un uomo da rotocalchi né un personaggio da talk show. Scola era un regista della ‘vecchia scuola’. Nato in Campania (a Trevico, in provincia di Avellino) ma sempre vissuto a Roma, Ettore Scola ha iniziato la sua carriera artistica come sceneggiatore: passione che lascia trasparire non solo una voglia di mostrare, ma anche una voglia di dire. Ha scritto per giornali satirici: il più noto fu il Marc’Aurelio dove, insieme alle sue vignette da appena quindicenne, c’erano le firme di grandi artisti quali Steno, Cesare Zavattini, Marcello Marchesi e un giovane Federico Fellini. Si è approcciato poi al cinema e alla Rai, sempre però come sceneggiatore. Nel 1964 esordisce come regista, ma la notorietà arriva quattro anni dopo con il secondo film, per entrare poi, nel 1974, nel ‘tempio dei grandi registi’ con uno dei suoi massimi capolavori, C’eravamo tanto amati. Sono suoi tanti film che hanno descritto l’Italia e, soprattutto, l’adottiva Roma: Una giornata particolare, La famiglia, La terrazza, Concorrenza sleale e Brutti, sporchi e cattivi (forse il suo capolavoro per eccellenza). Quattro volte candidato all’Oscar, 8 David di Donatello e un Premio alla regia al Festival di Cannes. Come un’aquila orgogliosa, nel pieno della sua riservatezza, si è spento al Policlinico di Roma, al reparto di cardiochirurgia.
LA REALTA’ - La personalità del regista non si capisce certo conoscendone la biografia. La sua arte ci ha mostrato come la pensava, con fotogrammi dal gusto di racconto, dall’atmosfera un po’ teatrale, mai finti, mai immaginati: tutte mostrate in una brutale, anche se a volte comica, realtà. Questa, infatti, è sempre stata una delle immancabili e primarie protagoniste dei suoi film. La causa è da cercare nella sua formazione. Scola era infatti l’erede di quel gruppo di ‘supremi’ come Mario Monicelli, Pietro Germi, Luigi Comencini e Dino Risi: ideatori e fondatori della ‘commedia all’italiana‘, genere tutt’altro che leggero, come erroneamente si pensa. Prendendo spunto dal ‘neorealismo’, i registi del genere in questione descrivevano qualsiasi tipo di realtà nata dopo il ‘boom economico’ usando ogni tanto la comicità e la battuta, con lo scopo di mostrare le contraddizioni di quella società che si era venuta a creare. Scola prosegue sempre su quella linea. Una realtà fatta di povertà (Dramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca; Brutti, sporchi e cattivi), di arrivismo (C’eravamo tanto amati), di assenza di morale (La più bella serata della mia vita; Brutti, sporchi e cattivi; C’eravamo tanto amati) e di tramonti (Splendor; Il mondo nuovo). La sua ricetta è la storia di persone qualunque inserite nella perfetta realtà che li circonda, sia che ci si trovi durante la Rivoluzione francese sia che ci si trovi ai giorni nostri. Nella realtà però ci sono gli uomini. L’essere umano, nei suoi film, è protagonista della sua esistenza, è un ‘homo faber’, responsabile del suo destino e delle sue scelte: la realtà, quindi, è fatta di scelte di vari uomini che coinvolgono altri uomini.
IL TEMPO TANGIBILE - La prima grande tematica che Scola affronta nei suoi film è lo scorrere del tempo. Un passaggio che si percepisce, si vede, si tocca sui capelli neri che diventano bianchi, sugli ideali che scompaiono, sull’anacronistica presenza di personaggi che ricordano un tempo passato. Un tempo che si vede e si ricorda anche grazie alla presenza di eventi e fatti avvenuti in determinati anni, eventi storici o fatti di cronaca. Già in Dramma della gelosia del ’70 vediamo la vicenda del triangolo amoroso Vitti-Mastroianni-Giannini dal nascere a dopo la fine: il tempo si percepisce soprattutto sul personaggio di Mastroianni, nel suo senno che va via. I continui flashback, in ogni caso, mostrano al pubblico il tempo che è passato. C’eravamo tanto amati è un inno a questa tematica, poiché i quattro protagonisti si mostrano dalla loro giovinezza a gran parte della loro maturità. Non ci accorgiamo però degli anni solo dalle rughe dei personaggi. Scola utilizza una tecnica efficace nel montaggio per dare l’idea dello scorrere del tempo: parte dal bianco e nero e passa lentamente al colore. Inoltre si vedono pellicole che vengono girate per Roma, modelli di macchine che cambiano: tecniche di viscontiana memoria, utilizzate per immergere pubblico e attori all’interno dei giorni descritti dal regista. La famiglia (1987) è invece interamente costruito su questo tema. Un arco temporale che prende quasi un secolo, dai primi del ’900 agli anni ’80, tutto all’interno di un appartamento: attori che interpretano nonni e nipoti per sottolineare la somiglianza generazionale, visi scavati dall’anzianità e mode che si susseguono ci mostrano una Roma, quindi un’Italia, che muta.
GLI ANNI ’20, LA GUERRA E LA SINISTRA SMEMORATA – Imperante è la volontà di raccontare il periodo del fascismo, della Seconda Guerra Mondiale, ma, soprattutto, di un pensiero di libertà trasformato in ipocrita, superbo e sordo. La presenza del fascismo si vede ne La famiglia: forte la presenza delle camicie nere, della guerra d’Etiopia e delle disquisizioni morali tra chi aderiva, chi era contrario e chi rimaneva nel mezzo. Concorrenza sleale si svolge negli anni tristi delle persecuzioni razziali, mostrando quanto la loro assurda proclamazione riuscisse ad unire due realtà opposte. Una giornata particolare si svolge in quegli anni, mostrando una società incapace di criticare, una tristezza umana però comune sia a chi critica il regime sia a chi ci crede. C’eravamo tanto amati invece mostra la guerra, la paura e la vittoria partigiana, ma, al tempo stesso, denuncia una sconfitta sociale generazionale. I personaggi di Gassman e Satta Flores sono la dimostrazione di una generazione che è scesa a compromessi, lasciandosi ‘corrompere’, con l’arrivismo e l’eccessivo intellettualismo, a discapito di un paese e dei pochi coerenti, come il personaggio di Manfredi.
LA DENUNCIA – Il fulcro, però, di quasi tutte le opere di Scola era la denuncia. C’era sempre, in ogni film, un bisogno di mostrare qualcosa che è giusto ricordare. Si pensi al provincialismo dell’italiano medio nel terzo mondo, in Riusciranno i nostri eroi… del ’68, rappresentato dal personaggio di Manfredi; oppure alla finta giustizia di Il commissario Pepe; la difficoltà della comunicazione generazionale di Che ora è?; l’infamia delle leggi razziste in Concorrenza sleale; gli ideali traditi in C’eravamo tanto amati. Brutti, sporchi e cattivi ne è, probabilmente, il culmine finale: un film senza rimedio che non dà alcuna speranza. La miseria e l’ignoranza che unite rendono l’uomo un animale, senza legami, senza sentimenti, senza ritegno né una morale. In una baraccopoli, personaggi poveri e senza scrupoli si muovono cercando di mangiarsi a vicenda come animali in un’arena, con la mera differenza che gli uomini ne hanno coscienza. Una denuncia mirata alla società dell’epoca e che, purtroppo, rimane un sempreverde.
ROMA - C’è poi lei, la città che Scola sentiva veramente sua, ad essere un ennesimo comune denominatore nelle sue pellicole. Mentre Magni ne ricordava i tempi ottocenteschi, Scola la vedeva così com’era. Quasi tutti i film si svolgono nella Città Eterna, scenografia vasta e piena, capace di contenere Storia e varie personalità contemporaneamente, così come voleva il regista. Ovviamente l’inno alla città è certamente Gente di Roma, dove personaggi romani noti dello spettacolo si muovono in città, descrivendone lo spirito, la quotidianità, la bellezza estetica.
2016, ANNO GIÀ TRAGICO - Ettore Scola è la terza grande personalità internazionale dello spettacolo a spegnersi questo gennaio. Dopo Alan Rickman e David Bowie, il regista italiano entra ufficialmente tra le leggende. Scegliendo strade mai caratterizzate dal mero soggettivismo, rendendo il messaggio più comune che potesse, la sua fama e i suoi premi ne hanno testimoniato la perfetta riuscita di tale intento. Un talento forte, dalle parole semplici, condito da una risata amara seppur comica: questo era Ettore Scola. Un vuoto che potrà colmarsi solo tramite chi vorrà riprendere a descrivere la realtà senza pensare ai botteghini, ad accontentare la cosiddetta ‘intellighenzia’ o perdersi in inutili tecniche innovative. Un film di film, dove le idee si intensificano ma mai si contraddicono. Complimenti, signor Scola: è stato davvero un bel film.
Francesco Fario