Emergency di nuovo a Lashkar-gah

Cosa è successo dopo quel 10 aprile

di Francesca Penza

L'ospedale di Lashkar-gah

Sull’arresto, lo scorso aprile, dei tre operatori di Emergency si è detto di tutto, è stata pronunciata la parola complotto, sono riemerse tutte le polemiche sulla contestatissima Emergency. L’ospedale di Lashkar-gah, intitolato al giornalista e uomo di pace Tiziano Terzani, ha chiuso i battenti poche ore dopo le concitate vicende che hanno coinvolto Matteo Dell’Aira, infermiere e coordinatore medico, il chirurgo d’urgenza Marco Garatti e il tecnico della logistica Matteo Pagani.

A quanto pare, già dal giorno della liberazione dei tre operatori, lo staff si è adoperato per ripristinare i servizi forniti dall’ospedale, l’unico a offrire assistenza medica gratuita e di qualità nella regione di Helmand. L’ospedale di Lashkar-gah ha iniziato la sua attività nel 2004 curando – nel 60% dei casi – pazienti con traumi dovuti a bombe, mine antiuomo e pallottole. Il 29 luglio il centro ha riaperto, dopo più di cento giorni.

«A Kabul, le autorità centrali ci avevano già manifestato il loro sostegno e un grande apprezzamento per il nostro lavoro; rimanevano da incontrare le autorità di Helmand che nei mesi precedenti avevano posto due condizioni per la ripresa delle attività: la presenza di militari afghani intorno all’ospedale e il passaggio della gestione dell’ospedale al dipartimento della Sanità locale», racconta Rossella Miccio, coordinatrice dell’ufficio umanitario di Emergency, in un suo articolo sulla rivista trimestrale dell’associazione.

Di fatto le condizioni imposte avrebbero violato il principio di neutralità per la cura dei feriti di guerra contemplato dalle convenzioni internazionali. Per riaprire l’ospedale è stato necessario incontrare il governatore di Lashkar-gah, il capo della sicurezza e il capo del dipartimento della Sanità della regione e trattare le condizioni: gestione diretta dell’ospedale e libero accesso alla struttura per tutti i feriti.

Le trattative improvvisamente si sono risolte a favore di Emergency. Le strutture e le attrezzature dell’ospedale sono state controllate e rimesse in opera ed un nuovo staff è stato creato: un chirurgo, un logista, la coordinatrice del progetto, due infermiere internazionali e 140 afghani tra personale medico, amministrativo e ausiliario.

Gli ultimi dati, aggiornati al 30 giugno scorso, parlano di 10.679 pazienti ricoverati, 59.906 pazienti trattati in ambulatorio e 12.565 interventi chirurgici. Per la popolazione locale la riapertura del centro ospedaliero di Lashkar-gah rappresenta una sicurezza ed un vantaggio. L’alternativa sarebbe recarsi a Kabul: mezza giornata di viaggio su un percorso poco sicuro. Oppure non curarsi affatto.

La posizione di Emergency rimane per certi versi ambigua. Ambiguità dovuta non solo all’atteggiamento sempre fortemente antimilitarista di Gino Strada – in una intervista del maggio 2010 ha dichiarato che Emergency non vuole avere nessun tipo di rapporto con i militari italiani nei Paesi dove l’organizzazione è presente: «Facciamo cose diverse: noi siamo lì per salvare vite, loro sono lì per ammazzarne. Non c’é mai stato con loro un punto d’incontro e non vedo come potrebbe esserci» – ma anche agli sviluppi legati al sequestro del giornalista Daniele Mastrogiacomo, avvenuto nel marzo del 2007.

Hanefi, appena scarcerato, e Gino Strada

La trattativa con i talebani che portò alla liberazione del giornalista, fu condotta da Rahmatullah Hanefi, in quel periodo responsabile della sicurezza e del personale dell’ospedale, con l’appoggio del governo centrale. Dopo il rilascio di Mastrogiacomo – seguito alla liberazione di alcuni prigionieri talebani – Hanefi venne arrestato e accusato di essere complice dei sequestratori. Molti Paesi reputarono il fatto come un netto segnale di cedimento, una mezza vittoria concessa ai talebani.

A complicare il quadro, alcuni dossier di Wikileaks che hanno rivelato due fatti: il nostro governo avrebbe spinto per la chiusura dell’ospedale nel caso in cui Hanefi non fosse stato rilasciato; il diplomatico statunitense John Negroponte – personaggio con un passato non proprio limpido – avrebbe fatto pressione sull’Italia perché limitasse l’attività della Ong italiana, definita “insopportabile”.

Emergency resta una realtà controversa: da un lato l’innegabile impegno per la tutela e la cura di tutti i feriti, dall’altro il conflitto con il mondo militare in cui riconosce solo un nemico, senza considerare affatto che il punto di contatto è comunque il perseguimento di un benessere che passa attraverso le popolazioni civili e la collaborazione.

Il punto di vista di Emergency rappresenta solo uno dei tanti esempi della chiusura di molte Ong nei confronti delle istituzioni militari e non solo.

Foto | via http://attituderagusa.files.wordpress.comhttp://sarodist.files.wordpress.com;

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