Due vite per caso: parola al regista Alessandro Aronadio

Intervista al giovane regista siciliano che porta al cinema il disagio dei giovani d’oggi, raccontando e assolvendo entrambi i fronti della “barricata”

di Daniela Dioguardi

Locandina del film

Milano – Sfavillano gli occhi di Alessandro Aronadio, mentre parla della sua opera prima, Due vite per caso, presentato in concorso al festival di Berlino 2010, nella sezione Panorama, e proiettato in anteprima nazionale in occasione del Miff 2010, lo scorso 6 maggio. Radioso e autentico è il suo sorriso mentre ringrazia i presenti e invita affabilmente al passaparola .

Il protagonista del suo film è il giovane Matteo Carli (Lorenzo Balducci), che si guadagna modestamente da vivere lavorando in un vivaio. In una sera di pioggia, il ragazzo, insieme al fedelissimo Sandro (Riccardo Cicogna), tampona involontariamente una volante della polizia da cui sbucano due agenti malati di strapotere che picchiano immotivatamente i due amici. A questo punto, il binario della storia si sdoppia a voler raccontare due esistenze parallele, scaturite dal duplice esito del caso. Cosa sarebbe successo se la vecchia Renault di Matteo avesse schivato di pochi centimetri l’auto dei due poliziotti?

Il Matteo aggredito e divorato dalla frustrazione per l’oggettiva impossibilità di reagire all’affronto dei due agenti che ora minacciano di incastrarlo, instaurerà una relazione con la bella e accattivante Sonia (Isabella Ragonese) e finirà per iniziare un’amicizia con l’ambiguo Ivan (Ivan Franek), compagno di sventure, il quale lo spingerà a non reprimere la rabbia ma a sfruttarla a dovere.

Poi, c’è il Matteo che ha schivato di poco la volante, fidanzato con Letizia (Sara Febelbaum), una bella e brava ragazza alto-borghese, che, per rimediare all’avvilente precarietà economica, decide per un’occupazione più stabile e remunerativa, accettando a malincuore di entrare nell’Arma dei Carabinieri.

A noi di Wakeupnews Alessandro Aronadio ha concesso, senza remore, una lunga e generosa intervista in cui ci racconta di questo suo primo lungometraggio, rabbioso, problematico, impegnato e inequivocabilmente ispirato alla difficile condizione dei giovani d’oggi, costretti a vivere nella precarietà, nell’attesa e nell’assenza di prospettive, portati alla violenza e comunque sempre alla disperata ricerca di un’identità.

- Alessandro, lei ha scelto di ispirare Due vite per caso, la sua opera prima, al romanzo Morte di un diciottenne perplesso di Marco Bosonetto. C’è un motivo particolare?

Mi è interessato Morte di un diciottenne perplesso perché sfruttava un tema come quello doppio, quindi del come se, cosa se, in maniera molto più legata all’oggi, rispetto soltanto a uno sterile gioco cinematografico presente, ad esempio, in Sliding Doors, dove la struttura doppia si pone semplicemente al servizio di una commedia sentimentale. Mi interessava raccontare  i giovani e l’attualità : viviamo un momento in cui è veramente molto difficile avere una progettualità, poter seriamente pensare al proprio futuro. Siamo, insomma, una generazione di ragazzi che, purtroppo, è costretta più a pensare alla sopravvivenza piuttosto che ad esaudire i propri desideri o puntare ai propri sogni.

- Precarietà e precariato. Nel suo film la dimensione umana, legata alla casualità e agli equilibri sottili della vita, incontra la dimensione socio-economica che vede il personaggio di Matteo muoversi in un contesto che gli preclude di fatto i mezzi per l’auto-realizzazione. Quanto di politico e quanto di esistenziale c’è nel suo film?

Per me è positivo qualsiasi film che racconti il momento che stiamo vivendo, quindi credo che il mio si possa definire un film politico ma, allo stesso tempo, un film che non ha colorazioni particolari e che parla soltanto di noi e di quello che sta succedendo nel nostro Paese. La polis, la società sono i riferimenti politici in ballo, a prescindere da una connotazione di destra o di sinistra, per quello che possono ancora significare queste parole. Ovviamente una situazione, come quella narrata, di precarietà socio-economica invade anche la sfera privata, sentimentale, esistenziale, in quanto va a contaminare il concetto che uno ha del rapporto con la vita. Il locale che i ragazzi del film frequentano si chiama Aspettando Godard (n.d.r. questo doveva essere orginariamente il titolo del fim) proprio perché vuole rimandare al tema della precarietà, dell’attesa continua. Viviamo infatti in una società che ti prepara, che ti dice che la tua età dovrebbe essere quella in cui puoi prendere le tue iniziative e cercare di trovare il tuo percorso di vita, ma poi finisce per relegarti nella camera d’aspetto. E così l’adolescenza e la giovinezza si prolungano fino a raggiungere delle età illogiche. Può essere divertente da un certo punto di vista, può essere materiale per articoli di colore, ma, in realtà, è una cosa abbastanza preoccupante.

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Una risposta a Due vite per caso: parola al regista Alessandro Aronadio

  1. avatar
    Anonimo 13/05/2010 a 21:27

    Letto l’articolo non ci resta che andare al cinema…

    Ottimo lavoro…Complimenti!;)

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