Crisi Ue. L’Europa a un bivio: libero mercato o interventismo?

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Il vertice di Bruxelles dello scorso 29 giugno ha riscosso un immediato  successo sia sui mercati -con le Borse finalmente tornate positive – che sulle principali pagine degli analisti economico-finanziari: quell’Europa che si era sempre mostrata timida, impacciata ed incapace di decidere, è riuscita per una volta a trovare una comunione di intenti che solo qualche ora prima sembrava impossibile. Ma basterà l’annunciato “scudo anti-spread” a risolvere i problemi dell’Eurozona?

Molto dipenderà dagli esiti del prossimo incontro, in programma per il 9 luglio, quando saranno chiariti i dettagli di quanto sinora solo genericamente enunciato a Bruxelles. L’impressione però è che le misure al vaglio costituiscano il solito pannicello caldo, buono per abbassare un po’ la febbre ma certo insufficiente a guarire il malato.

In molti sembrano infatti ancora stentare a riconoscere ed affrontare i veri problemi che affliggono il sistema, anzi, spesso appaiono remare in direzione ostinatamente contraria. Due sono in particolare i nodi da sciogliere, ed è qui che si gioca la vera partita: da una parte c’è la rincorsa all’utopia centralista di una unione politica e fiscale del continente, dall’altra è invece in discussione il ruolo giocato dalla Banca Centrale Europea, che molti vorrebbero rimodellare sull’esempio della Fed statunitense per perseguire con maggiore decisione una politica di espansione creditizia durante le fasi di stagnazione economica.

La pressione in favore della nascita di un superstato europeoè crescente, e sono sempre più numerosi quanti ritengono che sia questa l’unica soluzione capace di rendere possibile la sopravvivenza dell’Unione nel lungo termine. L’ipotesi desta tuttavia numerose preoccupazioni:  i dissapori ed i contrasti che accompagnano il dibattito rischiano infatti di rivelarsi letali per l’unica unione sinora veramente realizzata, quella monetaria, che da sola sembra in realtà già in grado di disciplinare i paesi membri costringendoli a prendere misure urgenti per ristabilire la sostenibilità delle proprie finanze pubbliche. La necessità di creare, con una operazione di vera e propria ingegneria sociale, una  sorta di Unione delle Repubbliche Socialiste Europee non sembra quindi così impellente, anzi, uniformare tutto per impedire ai cittadini europei di “votare con i piedi” dirigendo le proprie attività e risorse verso i paesi economicamente più attraenti potrebbe costituire l’ultima e decisiva zavorra capace di affondare il vecchio continente, le cui fortune ebbero origine proprio da quel crogiuolo di anime e poteri che caratterizzò l’epoca medievale.

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Ma il problema più grave sta non tanto nella improbabile unione politica dell’Eurozona, quanto nel ruolo che sarà assegnato alla BCE: sino ad oggi l’Istituto Centrale europeo ha sì condotto una politica espansiva nelle fasi di depressione, ma sempre a seguito di lunghe e difficili negoziazioni ed in cambio di riforme basate su austerità di bilancio e liberalizzazioni, a differenza delle banche centrali anglosassoni che hanno invece intrapreso simili politiche senza il minimo ritegno. Se passasse la linea della BCE “prestatrice di ultima istanza”, di cui i possibili interventi dell’ESM costituirebbero solo una sbiadita anticipazione, la prosperità dei paesi europei subirebbe il colpo forse decisivo. L’Europa è a un bivio: si tratta di scegliere fra euro (in attesa magari di un ritorno al gold standard), austerità di bilancio e libero mercato da una parte, e  nazionalismo monetario, interventismo e fascismo economico dall’altra. Domani, potrebbe essere già tardi.

Leonardo Butini

Foto || pinomasciari.it; lettera43.it; qn.quotidiano.net

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