
Corona condannato, ma il gioco-ricatto continua
La sentenza del processo milanese per i presunti fotoricatti ai vip condanna il ‘Re dei paparazzi’. Ma il ‘sistema’ che farà?
di Valentina Gravina
Tre anni e otto mesi di reclusione. Questa la sentenza del tribunale di Milano nei confronti di Fabrizio Corona, il ‘fotografo dei vip‘ che certo non necessita di presentazione alcuna e che, da astro nascente del ‘paparazzi system’ italiano, si è visto stroncare la carriera dopo il caso Vallettopoli.
Ieri il collegio di tre giudici, presieduto da Lorella Trovato, ha condannato Corona per tentata estorsione nei confronti del motociclista Marco Melandri e i calciatori Coco e Adriano. Avrebbe infatti chiesto denaro in cambio della mancata pubblicazione di foto compromettenti.
L’inchiesta, nata nel 2007 dal pm di Potenza Henry John Woodcock, porta Corona dritto dritto in carcere per circa 80 giorni, quanto basta per restituirlo alla società quasi completamente redimo da ogni colpa, se non quella di essersi adeguato ad un sistema già ‘malato’ all’interno. “Ostaggio dello Stato” è stata la prima esclamazione appena fuori San Vittore, con un fare minaccioso che lasciava trapelare un uomo ‘offeso’ dal benservito ricevuto.
Il pubblico intanto inizia a conoscerlo, si divide tra chi lo odia e chi lo ama per la sua irriverenza, guardandolo ora con disapprovazione, mista accondiscendenza, per aver giocato “a fare Scarface” contro tutto e tutti. Partecipa a trasmissioni televisive, i suoi scatti con la nuova fiamma Belen Rodriguez appaiono in tutti le riviste, porta un cache’ di 10 mila euro all’ora per fare l’ospite in qualche serata. Diventa Corona-Personaggio
Lo scandalo di Vallettopoli monopolizza i media nazionali mostrando un ‘perverso’ gioco di potere dentro e fuori il mondo dello star system italiano, coinvolgendo calciatori, soubrette, giovani rampolli dell’imprenditoria nostrana e politici. Corona, nel documentario Videocracy, alimenta il suo ego (o lo giustificava) definendosi “un Robin Hood che ruba ai ricchi per dare a sé stesso”, come se lo nobilitasse il fatto di alleggerire le tasche già pesanti di personaggi famosi.
“La verità assoluta la so solo io ma non ve la posso dire e la devo custodire qua dentro“, dice in uno dei suoi tanti sfoghi. Come se fosse così ‘scomodo’ o ‘più scorretto’ degli altri nel suo modo di gestire gli affari che qualcuno ha preferito eliminarlo. Dice ancora: “Per certa gente, dopo quello che è successo e il rinvio a giudizio, è meglio che sto in carcere, perché poi, se parlo e arriviamo all’altro processo, sono cavoli amari”.
In effetti, se davvero come si dice era (è?) piuttosto normale che le stesse vittime di scatti compromettenti comprassero le immagini per evitare che finissero nelle mani di giornalisti pronti a sbatterli in prima pagina, perché le altre agenzie, che a detta di Corona fanno esattamente lo stesso, non sono state sfiorate dal caso? Anche il pm Frank Di Maio, dopo la sentenza, ha riferito che “è passato il principio: da ora in poi il ritiro delle fotografie sarà più problematico”.
Allora il circuito vizioso della ‘compravendita’ tra il paparazzo in cerca dello scoop e del vip di turno pronto a sborsare migliaia di euro per amor della propria privacy, è più reale di quanto non si pensi, anche con Corona fuori dai giochi. E lui che forse paga il conto per tutti e diviene emblema per scoraggiare una pratica che, per quanto criticata, esiste ed è stata accettata placidamente. Perché l’universo che ruota attorno ai ricatti, alle foto, alle paparazzate non inizia e non finisce con lui.
Fa notizia che il processo è stato sostenuto solo dalla procura, senza neanche una parte civile. Segno che non c’è voglia di denunciare, segno che il primo imperativo è quello di non compromettere la propria vita privata, segno che in casi analoghi la logica dell’acquisto delle foto rimane tale e quale. In poche parole…i ricattati continuano ad avere più paura dei ricattatori. E dunque nulla sarà probabilmente diverso.
Nessuno vuole assolvere Corona, un uomo arrogante e presuntuoso che, dopo la condanna, dichiara anche di vergognarsi di essere italiano. Ma appare del tutto inutile disquisire o indignarsi per queste sue parole, o per la sua camicia sbottonata o i suoi atteggiamenti da sbruffone. C’è un universo ben più squallido e immorale che si muove per bramosia e che è il vero prodotto di questa nostra società. In cui tutto ha prezzo, soprattutto quando ‘apparire’ conta più dell’Essere.