
Corea del Nord, prosegue la tensione con gli Stati Uniti
Pyongyang – L’arrivo nelle basi militari coreane di due bombardieri B-52H Stratofortress dell’aviazione statunitense ha riacceso nuovamente i riflettori sulla critica situazione nella penisola asiatica, con la Corea del Nord del giovane leader Kim Jong-un che si è detta pronta a scatenare, in qualsiasi momento, un attacco nucleare sugli Stati Uniti d’America.
Dopo la cancellazione dell’armistizio che, nel 1953, pose fine alla sanguinosa guerra di Corea, i vertici militari comunisti hanno disposto tutti i militari e gli armamenti (la Corea del Nord è il paese con il più alto rapporto tra spesa militare sul totale del Pil) in assetto di attacco, preparandosi così all’eventualità di una guerra che, per la portata dei paesi attaccati – Stati Uniti e Corea del Sud – potrebbe avere risvolti drammatici per l’intera stabilità mondiale.
I coreani hanno diffuso, attraverso la sempre attiva e vitale propaganda di regime, dei video che ben spiegano le strategie da mettere in atto nel caso in cui si arrivi al conflitto: invasione via terra della Corea del Sud che, grazie all’enorme quantità di soldati impiegati – un milione quelli in servizio, oltre a quattro milioni di riservisti sempre a disposizione – verrebbe completata in soli tre giorni, con una capitolazione pressoché immediata dal nemico, e bombardamenti a tappeto delle basi militari Usa a Guam e nelle Hawaii.
L’isola di Guam, in particolare, è un territorio non incorporato statunitense, adibito a base di riferimento nel Pacifico occidentale, che dista circa 2.100 miglia dalla capitale nordcoreana, mentre più inverosimile appare il raggiungimento delle Hawaii, distanti quasi 5.000 miglia (la stessa distanza di Berlino, a mo’ di paragone), senza che sia prima approntato un sistema di difesa tale da non mettere a repentaglio la vita degli 1,4 milioni di abitanti delle isole.
Quello che appare chiaro è che le manovre militari nordcoreane, compresi i numerosi test nucleari – che hanno scatenato una serie di terremoti “artificiali” – siano comunque da inserirsi in quel complesso meccanismo di propaganda di cui sopra, benché la minaccia sia, effettivamente, reale e concreta. Per questo la Cina, storico alleato di Kim Il-sung prima, e Kim Jong-il poi, ha espresso attraverso il portavoce del nuovo esecutivo il suo invito alla «moderazione», che ai più suona come un invito all’irrequieto leader coreano – dal quale non solo non si sono ottenute aperture, ma tutt’altro – a far tacere le armi.
Il vero rischio, infatti, sarebbe quello di coinvolgere il gigante asiatico in una possibile guerra tra Usa e Corea del Nord. Se, infatti, la Cina non ha mai visto con simpatia gli statunitensi, ai quali tenta di strappare il predominio economico e politico sul mondo, resta pur sempre il primo partner economico e commerciale, e non avrebbe vantaggio alcuno dal supportare il debole alleato nordcoreano in una guerra che finirebbe, poi, per riguardare il mondo intero.
La soluzione più concreta, ma al contempo anche più improbabile, sarebbe quella di un “arretramento” degli statunitensi che, rinunciando a sostenere gli sforzi democratici della Corea del Sud, esporrebbero però questi ultimi al rischio di una nuova guerra nella penisola. A un quarto di secolo dalla fine della Guerra fredda, riaffiora così sui tavoli diplomatici una questione dai risvolti imprevedibili.
Stefano Maria Meconi
@_iStef91