
Consulta contraria al Lodo Alfano. E ora?
Violati gli articoli 3 e 138 della Costituzione: dal principio di uguaglianza tra cittadini all’obbligo, in casi del genere, di ricorrere ad una legge costituzionale e non ordinaria
Roma – Carta canta. Perché se è vero che “La legge è uguale per tutti”, oggi se ne dà atto. Non che gli italiani ci credessero particolarmente in questo principio, ma la sentenza della Consulta ha ribadito un valore importante: “l’uguaglianza”.
Per alcuni, stasera, si respira un po’ di democrazia in più, per altri questa è una delle più evidenti congiure politiche mai viste nel nostro paese. Così, mentre la sinistra festeggia la vittoria (anche se non risulta esserci stata alcuna battaglia), il PdL deve affrontare i possibili scenari futuri che scaturiranno da questo verdetto. Perché ora non c’è solo da fare i conti con una parte dell’opposizione che chiede le dimissioni del premier e la stampa estera che segue da mesi, per filo e per segno, ogni mossa del presidente del Consiglio. Ritorna la via crucis dei processi che coinvolgono Berlusconi e la macchina di avvocati (Ghedini, Pecorella e Longo) e di giuristi, schierata dal presidente contro le “toghe rosse”, sta già per rimettersi in moto. Lo spauracchio della magistratura milanese ritorna improvvisamente, e il verdetto dei 15 giudici costituzionali appare sempre più come un Domino: la reazione è a catena e la strategia, pezzo per pezzo, sta cadendo giù.
A nulla è servito ribadire all’opinione pubblica, a più riprese, che il Lodo Alfano non era un condono (già troppi ne sono stati fatti), ma una semplice sospensione temporanea. Lo scudo, che ha ripreso il nome del ministro della Giustizia, non piaceva molto, anche se presentato come garanzia per l’esercizio efficiente delle funzioni pubbliche. Le quattro più alte cariche dello Stato (i presidenti della Repubblica, del Senato, della Camera e del Consiglio) sarebbero stati gli unici beneficiari della legge anche se, il solo che ne avrebbe tratto reale beneficio, sarebbe stato Berlusconi. Anche perché Fini, querelato da Woodcock per alcune frasi pronunciate contro l’ex pm di Potenza, aveva già rinunciato all’immunità del Lodo e ottenendo, insieme al plauso dell’opposizione, il ritiro della stessa querela.
E così, solo dopo qualche giorno dalla sentenza che ha giudicato Silvio Berlusconi «corresponsabile della vicenda corruttiva» con cui la Mondadori fu assegnata a Fininvest e la maxi multa di 750 milioni di euro che la holding della famiglia del premier dovrà pagare alla Cir di Carlo De Benedetti, si ritornerà a parlare di diritti tv e corruzione di testimoni. Perché si aspetta ancora di capire se, negli anni ’90, durante la compravendita di diritti televisivi e cinematografici di una società Usa, Berlusconi si macchiò o no di due reati, frode fiscale e falso in bilancio (altri furono prescritti). Legato a questo anche il caso dell’avvocato britannico David Mills al quale, secondo l’accusa, Berlusconi avrebbe dato 600.000 dollari come ricompensa per non aver rivelato delle informazioni su società off- shore usate da Mediaset per creare fondi neri.
Le acque si fanno dunque movimentate, e qualcuno stanotte non dormirà bene come sperava. Ma almeno sappiano che oggi, davanti alla Costituzione e alla legge italiana, anche il Presidente del Consiglio è stato “giudicato” un uomo come tutti noi, come il sig. Rossi, Bianchi o Esposito, a cui il privilegio di smarcare la giustizia non può essere ceduto. Perché solo l’uguaglianza è legittima, in tutte le sue forme.